sabato 9 gennaio 2010

Dell’abitudine

Cos’è l’abitudine? È la comoda disposizione a compiere con regolarità e sistematicità un determinato atto. Svegliarci sempre alla stessa ora, andare a correre, passare ogni sabato pomeriggio allo stesso centro commerciale, percorrere sempre la medesima strada… significa, in breve, accontentarci del conforto ovattato che la routine ci può dare.
“Nella routine c’è un certo conforto”, scrive infatti John Steinbeck in “Quel fantastico giovedì” e l’insospettabile Raymond Radiguet nel “Diavolo in corpo” gli dà ragione: “I più grandi piaceri si trovano non nella novità, ma nell’abitudine”. Il cornetto e il cappuccino del mattino, il caffè dopo pranzo, la tisana calda nelle lunghe sere d’inverno… Molti altri sono d’accordo: il filosofo scozzese del Settecento David Hume dice che “L’abitudine è la grande guida della vita umana”, il favolista greco Esopo sottolinea che “L’abitudine rende sopportabili anche le cose spaventose”. Honoré de Balzac nel “Cugino Pons” ironizza: “Nessuno osa dire addio alle proprie abitudini. Più di un suicida s’è fermato sulle soglie della morte pensando al caffè dove andava a giocare tutte le sere la sua partita a domino”.  Una corazza dunque, l’abitudine, che indossiamo per far fronte alla realtà, per avere modo di sconfiggere i fantasmi del mutamento. Per Aleksandr Puskin nell’”Eugenio Onegin”, è addirittura “un buon surrogato della felicità”.
È bellissima allora l’abitudine? No, non lo è. È tranquillizzante, confortevole come un paio di scarpe portate a lungo che hanno ormai preso la forma del piede. E infatti per Erasmo da Rotterdam “l’abitudine rende sopportabili anche le cose spaventose”. È quello che pensiamo quando i giornali ci danno notizie di abusi prolungati e subiti per mesi e mesi, per anni interi. Perché l’abitudine diventa ferma, immobile, rischia di diventare come l’acqua di uno stagno, cui non giunge l’apporto delle sorgenti, la purezza della novità. “Di banalità è fatto l’uomo e chiama l’abitudine sua balia” dice un verso di Friedrich von Schiller. E Marcel Proust in “Sodoma e Gomorra” coglie questo aspetto: “L’abitudine è una seconda natura che ci impedisce di conoscere la prima di cui non ha né le crudezze né gli incanti”. Un’aurea mediocrità insomma, dalla quale non abbiamo la forza di evadere se “si cambia più facilmente la religione che il caffè” per dirla con Georges Courteline


 


Una celebre opera di Andy Warhol

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LA FRASE DEL GIORNO
L’abitudine si vince con l’abitudine.
TOMMASO DA KEMPIS, L’imitazione di Cristo, I, 21

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