giovedì 4 marzo 2010

Gozzano e la povera cosa

GUIDO GOZZANO

UN RIMORSO


I.

O il tetro Palazzo Madama...
la sera... la folla che imbruna...
Rivedo la povera cosa,

la povera cosa che m'ama:
la tanto simile ad una
piccola attrice famosa.

Ricordo. Sul labbro contratto
la voce a pena s'udì:
«O Guido! Che cosa t'ho fatto
di male per farmi così?»

II.

Sperando che fosse deserto
varcammo l'androne, ma sotto
le arcate sostavano coppie

d'amanti... Fuggimmo all'aperto:
le cadde il bel manicotto
adorno di mammole doppie.

O noto profumo disfatto
di mammole e di
petit-gris...
«Ma Guido che cosa t'ho fatto
di male per farmi così?».

III.

Il tempo che vince non vinca
la voce con che mi rimordi,
o bionda povera cosa!

Nell'occhio azzurro pervinca,
nel piccolo corpo ricordi
la piccola attrice famosa...

Alzò la veletta. S'udì
(o misera tanto nell'atto!)
ancora: «Che male t'ho fatto,
o Guido, per farmi così?».

IV.

Varcammo di tra le rotaie
la Piazza Castello, nel viso
sferzati dal gelo più vivo.

Passavano giovani gaie...
Avevo un cattivo sorriso:
eppure non sono cattivo,

non sono cattivo, se qui
mi piange nel cuore disfatto
la voce: «Che male t'ho fatto,
o Guido per farmi così?».

(da “La via del rifugio”, 1907)

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Guido Gozzano è poeta del desiderio. Il desiderio che non viene e non può essere appagato, che talora è irrealizzabile come nel caso dell’amica di Nonna Speranza e della prostituta di “Cocotte”, che rimane in essere come per la Graziella ciclista delle “Due strade” o che, come in questi versi, si trasforma in acre rimpianto. E in rifugio: la banale ovvietà del quotidiano, la vita minimalista, l’ideale di bellezza femminile schietta e casalinga in netto contrasto con le mitologiche donne di D’Annunzio. Il passato, con una vena fortemente nostalgica e ironica, assume i toni del sogno, il “significante del referente inconscio”, come sottolinea Glauco Viazzi commentandone la poetica.

“Un rimorso” porta la data del 16 marzo 1907. I portici di Palazzo Madama, in Piazza Castello sono un punto di incontro per i torinesi: “Un piacevole luogo di convegno solitario, ben difeso dalla pioggia, dal sole, dalla curiosità. Sotto la mole vasta, passeggiando dall’androne medioevale al porticato settecentesco si può attendere una signora – mamma, sorella, amica, amante – e la mezz’ora di ritardo che ogni donna si crede serenamente in diritto di prelevare sulla pazienza maschile, è meno grave che altrove” ironizza lo stesso Gozzano nell’«Altare del passato». Transitandovi, ricorda una donna da lui amata – con l’amore inaridito di cui è in grado – somigliante a Emma Gramatica, attrice di prosa molto in voga allora. Nulla accadde, nulla è delineato: solo quella passeggiata in cui la donna si lamenta del male che il poeta, per questa sua incapacità di amare, le ha fatto. Resta di lei quel rimorso, un segno vivo e pungente nello sterile sentimento, una consapevolezza di essere ancora in grado di soffrire.

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Edouard Manet, “Berthe Morisot con un mazzo di violette”

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LA FRASE DEL GIORNO
Non c’è nessun testimone così terribile, nessun accusatore così implacabile come la coscienza che abita nel cuore di ogni uomo.
POLIBIO, Storie, XVIII, 43




Guido Gustavo Gozzano (Torino, 19 dicembre 1883 – 9 agosto 1916),   poeta italiano, fu il capostipite della corrente letteraria post-decadente del crepuscolarismo. Inizialmente si dedicò alla poesia nell'emulazione di D'Annunzio e del suo mito del dandy. Successivamente, la scoperta delle liriche di Giovanni Pascoli lo avvicinò alla cerchia di poeti intimisti, accomunati dall'attenzione per "le buone cose di pessimo gusto". Morì di tisi a 32 anni.


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