mercoledì 7 marzo 2012

Continuo schianto

 

GIUSEPPE UNGARETTI

GIORNO PER GIORNO

1

"Nessuno, mamma, ha mai sofferto tanto…"
E il volto già scomparso
ma gli occhi ancora vivi
dal guanciale volgeva alla finestra,
e riempivano passeri la stanza
verso le briciole dal babbo sparse
per distrarre il suo bimbo...

2

Ora potrò baciare solo in sogno
le fiduciose mani...
E discorro, lavoro,
sono appena mutato, temo, fumo...
Come si può ch’io regga a tanta notte?...

3

Mi porteranno gli anni
chissà quali altri orrori,
ma ti sentivo accanto,
m’avresti consolato...

4

Mai, non saprete mai come m’illumina
l’ombra che mi si pone a lato, timida,
quando non spero più...

5

Ora dov’è, dov’è l’ingenua voce
che in corsa risuonando per le stanze,
sollevava dai crucci un uomo stanco?...
La terra l’ha disfatta, la protegge
un passato di favola...

6

Ogni altra voce è un’eco che si spegne
ora che una mi chiama
dalle vette immortali...

7

In cielo cerco il tuo felice volto,
ed i miei occhi in me null’altro vedano
quando anch’essi vorrà chiudere Iddio...

8

E t’amo, t’amo, ed è continuo schianto!...

9

Inferocita terra, immane mare
mi separa dal luogo della tomba
dove ora si disperde
il martoriato corpo...
Non conta… Ascolto sempre più distinta
quella voce d’anima
che non seppi difendere quaggiù...
M’isola, sempre più festosa e amica
di minuto in minuto,
nel suo segreto semplice...

10

Sono tornato ai colli, ai pini amati
e del ritmo dell’aria il patrio accento
che non riudrò con te,
mi spezza ad ogni soffio...

11

Passa la rondine e con essa estate,
e anch’io, mi dico, passerò...
Ma resti dell’amore che mi strazia
non solo segno un breve appannamento
se dall’inferno arrivo a qualche quiete...

12

Sotto la scure il disilluso ramo
cadendo si lamenta appena, meno
che non la foglia al tocco della brezza...
E fu la furia che abbatté la tenera
forma e la premurosa
carità d’una voce mi consuma...

13

Non più furori reca a me l’estate,
né primavera i suoi presentimenti;
puoi declinare, autunno,
con le tue stolte glorie:
per uno spoglio desiderio, inverno
distende la stagione più clemente!...

14

Già m’è nelle ossa scesa
l’autunnale secchezza,
ma, protratto dalle ombre,
sopravviene infinito
un demente fulgore:
la tortura segreta del crepuscolo
inabissato...

15

Rievocherò senza rimorso sempre
un’incantevole agonia di sensi?
Ascolta, cieco: “Un’anima è partita
dal comune castigo ancora illesa...”

Mi abbatterà meno di non più udire
i gridi vivi della sua purezza
che di sentire quasi estinto in me
il fremito pauroso della colpa?

16

Agli abbagli che squillano dai vetri
squadra un riflesso alla tovaglia l’ombra,
tornano al lustro labile d’un orcio
gonfie ortensie dall’aiuola, un rondone ebbro,
il grattacielo in vampe delle nuvole,
sull’albero, saltelli d’un bimbetto...

Inesauribile fragore di onde
si dà che giunga allora nella stanza
e alla freschezza inquieta d’una linea
azzurra, ogni parete si dilegua...

17

Fa dolce e forse qui vicino passi
dicendo: “Questo sole e tanto spazio
ti calmino. Nel puro vento udire
puoi il tempo camminare e la mia voce.
Ho in me raccolto a poco a poco e chiuso
Lo slancio muto della tua speranza.
Sono per te l’aurora e intatto giorno”.

(da Il Dolore, 1947)

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Nel 1939, a San Paolo del Brasile, Giuseppe Ungaretti insegna Letteratura italiana all’università. È in quella città che gli muore il figlio Antonietto, il secondogenito avuto da Jeanne Dupoix: un’appendicite mal curata risulterà fatale. Perdere un figlio è innaturale, genera un dolore intenso e continuo cui neppure il poeta riesce a sfuggire: ne esce prostrato e le poesie rifletteranno per più di un decennio questo suo grande dolore. Così commentò lo stesso Ungaretti: “Mi si è fatto osservare che in un modo all’estremo brutale, perdendo un bimbo che aveva nove anni, devo sapere che la morte è la morte. Fu la cosa più tremenda della mia vita. So che cosa significhi la morte, lo sapevo anche prima; ma allora, quando mi è stata strappata la parte migliore di me, la esperimento in me, da quel momento, la morte. Il Dolore è il libro che ho scritto negli anni orribili, stretto alla gola. Se ne parlassi mi parrebbe d’essere impudico. Quel dolore non finirà più di straziarmi”. E diventa appunto, nella raccolta, Il Dolore, con la maiuscola, in contrapposizione con L’Allegria dei primi versi. Giorno per Giorno è il resoconto di quel dolore costante: frammento dopo frammento racconta gli anni che vanno dal 1940 al 1946. E non è un caso che quell’endecasillabo isolato si trovi al centro della poesia, come il suo cuore pulsante: “E t’amo, t’amo, ed è continuo schianto!…”

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VINCENT VAN GOGH, “PIETÀ”

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LA FRASE DEL GIORNO
Non seppe / Ch’è la stessa illusione mondo e mente, / Che nel mistero delle proprie onde / Ogni terrena voce fa naufragio.
GIUSEPPE UNGARETTI, Il Dolore




Giuseppe Ungaretti (Alessandria d’Egitto, 8 febbraio 1888 – Milano, 1º giugno 1970) è uno dei tre grandi poeti dell’Ermetismo italiano. Trasferitosi a Parigi nel 1912, prese parte alla Prima guerra mondiale nelle trincee del Carso e poi in Champagne. Dal 1935 al 1942 insegnò in Brasile e dal 1947 al 1965 fu professore di letteratura moderna alla Sapienza.


3 commenti:

Vania ha detto...

...alcuni mali...non si possono curare del tutto...restano delle profonde cicatrici, alle volte anche visibili e qualche volta col passare del tempo toccandole possono far ancora male.

ciaooo Vania

Vania ha detto...

...sto facendo alcune faccende e ho nelle orecchie il verso centrale....la scrittura di questa poesia è umana e precisa.
ciaoo Vania

DR ha detto...

quello che risalta è la continuità dell'innaturale dolore che è la perdita di un figlio