sabato 30 giugno 2012

Robert Sabatier

 

Robert Sabatier, poeta francese autore di Les allumettes suédoises, decano dell’Académie Goncourt, è morto all’ospedale di Boulogne-Billancourt giovedì scorso. Aveva quasi 89 anni, essendo nato a Montmartre il 17 agosto del 1923. “Dietro la maschera bonaria e le spire di fumo della sua eterna pipa, c’era una dei migliori conoscitori della versificazione contemporanea, un eccellente poeta e l’autore di una monumentale Storia della poesia francese. Era anche amante dell’umorismo nero e degli aforismi, denigratore feroce della commedia umana”: lo ha ricordato così Aurélie Filippetti, ministra francese della Cultura. Il sindaco di Parigi, Bertrand Delanoë lo ha salutato come “poeta dalla curiosità infinita, dallo stile elegante e popolare, innamorato di Parigi”.

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IL RAGAZZO SELVAGGIO

All’ultimo banco in classe un ribelle
Vede la lingua rossa dell’autunno
Leccare il vetro. Colerà del sangue
Nel vicolo dove rotolano le arance.

Un libro aperto vola con fruscio d’ali.
Il dito nell’inchiostro disegna mostri
Sul legno scuro dove sono incisi
Nomi d’allievi addormentati nel tempo.

Una cancellatura lo acquieta appena
Perché vede i gridi verdi d’erbe folli.
Vagabonda in se stesso, poi si dedica
Alle gesta dell’imperatore cosmonauta.

Si tinge una guancia d’inchiostro malva
E lo raggiungono le tribù indiane.
Questo inventore d’altre cosmogonie
Sarà costretto ad amare la sua vita.

Qual è la parola che strappa le labbra
E fa esplodere le lodi perdute?
Primavera, Primavera... ripete il barbaro,
Primavera, Primavera, come chi chiama una tigre.

Nessuno risponde. Una volta vincitore
Era chi portava il cappello d’asino,
Masticando gomma e sognando vendette
Nell’angolo fiorito di ragnatele.

Scricchiola la pagina al ritmo dei dettati.
Stanco di balbettare vecchie  mongolfiere,
Il ragazzo vola sulla città
Per bruciarsi le ali al sole.

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LE VOCI PROFONDE

Sento le mie unghie crescere.
Penso ad alcuni amici
forti come bisonti
in lotta contro il tempo.

Traduco una poesia
in una lingua ignota.
Nel profondo del mio intimo
una voce chiede di parlare.

Che molti dei presenti
del cielo e della terra,
uniti in questa pagina
consegnino i loro segreti.

Se avessi il sapere
degli analfabeti
vivrei a colori
in una regione oscura.

Quale dio taglia la barba
per meglio apparirti,
oh mio viso, liscio
come la pelle del mare?

Non ho mai detto niente
senza ascoltare il mio corpo.
Canta come le rose
nell’estate ardente.

Della mia pelle gli amici
non necessitano labbra.
Sono musicisti come
il sole e la luna.

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SONO FERITO DA QUALCOSA E SO

Sono ferito da qualcosa e so
che la sua ferita è sorella della mia.
Posso solo aspettare e sopravvivere
senza preoccuparmi perché io sono il suo veleno.
Non potremo mai liberarci
dalla minaccia assurda che ci unisce.
Io sono amore e sento sorgere il suo odio,
e se io fossi odio, anche lui lo sarebbe.
Con questo male di vivere devo accontentarmi
e chiamare in aiuto le parole,
aspettare, aspettare e serbare la mia tristezza
come un impedimento al mio ardente suicidio.

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LA FRASE DEL GIORNO
Scrivere per chi? A così tanti lettori differenti si può inviare la medesima lettera?
ROBERT SABATIER, Le livre de la déraison souriante

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Robert Sabatier (Parigi, 17 agosto 1923 – Boulogne-Billancourt, 28 giugno 2012), poeta e scrittore francese. La sua opera cerca «una riedificazione, una ricostruzione della parola»: la sua poesia è, molto spesso, regolarmente ritmica, a volte in rima. In questa modalità radizionale, riecheggia le inquietudini che il nostro tempo suscita.




venerdì 29 giugno 2012

Una lettera


LÉOPOLD SÉDAR SENGHOR

LA TUA LETTERA SUL LENZUOLO

La tua lettera sul lenzuolo, sotto la lampada odorosa
azzurra come la camicia nuova che il giovanotto si liscia
canticchiando, come il cielo e il mare e il mio sogno
la tua lettera. Il mare ha il suo sale, e l’aria il latte il pane il riso, dico il suo sale
la vita ha la sua linfa, e la terra il suo senso
il senso di Dio e il suo moto.
La tua lettera. Senza di lei la vita non sarebbe vita
le tue labbra mio sale e mio sole, aria mia fresca e mia neve.

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L’Altro. La presenza dell’Altro nella nostra vita è quello che le dà un senso. Come l’innamorata che spedisce una lettera azzurra a Léopold Sédar Senghor, poeta senegalese di lingua francese, teorico della négritude e, non ultimo, presidente per cinque mandati e ventun anni del suo paese. Non importa neppure che cosa sia scritto in quella lettera: è lì, sul lenzuolo ed emette il suo segnale come un radar. Che nostalgia dei tempi in cui ci si scrivevano lettere profumate, con inchiostro blu. Ci volevano giorni per avere la risposta, si trepidava anche nell’attesa, ma si viveva, si ragionava, si dubitava, ci si macerava, si ripensava a quello che si era scritto, a quello che ci era stato scritto. Adesso premiamo un pulsante e parte l’e-mail, il messaggio in chat, l’SMS… E non c’è più la poesia.

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ELABORAZIONE GRAFICA © DANIELE RIVA

 

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LA FRASE DEL GIORNO
Chi ha cuore ha anche carta.
PROVERBIO ITALIANO




Léopold Sédar Senghor (Joal, 9 ottobre 1906 – Verson, Francia, 20 dicembre 2001), politico e poeta senegalese di lingua francese che tra le due guerre fu, con Aimé Césaire, il vate e l'ideologo della négritude, movimento nato per affrancare i popoli africani dal complesso di inferiorità imposto dai colonizzatori.


giovedì 28 giugno 2012

Il mistero del giorno

 

GABRIEL ZAID

NASCITA DI VENERE

Così sorgi dall’acqua,
                             chiarissima,
e i tuoi lunghi capelli sono ancora del mare,
e i venti ti spingono, le onde ti conducono,
come l’alba, per onde, serenissima.

Così arrivi improvvisa, come l’alba,
e rinasce, sulla spiaggia, il mistero del giorno.

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È un mito eterno quello che traspone in versi il poeta messicano Gabriel Zaid: la nascita di Venere magistralmente interpretata nel Rinascimento italiano da Sandro Botticelli: la dea, generata dalle acque fecondate da Urano, si leva dal mare e viene scortata dai venti fino a Pafo, per essere poi condotta sull’Olimpo. Un miracolo che si ripete ogni giorno, ci suggerisce Zaid, quando dal mare dell’alba filtra la prima luce – la luce è vita, come lo è l’amore sensuale instillato da Venere/Afrodite – e comincia il giorno.

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SANDRO BOTTICELLI, “NASCITA DI VENERE” FIRENZE, UFFIZI

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LA FRASE DEL GIORNO
E tutto cresce, e tutto sorge! / – Venere, oh Dea!

ARTHUR RIMBAUD




Gabriel Zaid Giacoman (Monterrey, 24 gennaio 1934), poeta e saggista messicano. Noto per non essere mai apparso in pubblico, ritiene che uno scrittore dovrebbe essere conosciuto per il suo lavoro, non per la sua personalità nella vita reale. I suoi saggi spaziano tra poesia, economia e critica letteraria.


mercoledì 27 giugno 2012

I fiori di Kavafis


KONSTANTINOS KAVAFIS

MAZZI DI FIORI

Assenzio, stramonio e giusquiamo,
aconito, elleboro e cicuta –
tutte le piante amare e velenose –
dar le foglie e i loro fiori orrendi
perché siano composti i grandi mazzi
da porre sull’altare rilucente –
ah, sullo splendido altare in Malachite –
dell’orrenda e magnifica Passione.

1897

(da Poesie segrete – Traduzione di Nicola Crocetti)

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Dall’archivio Kavafis ecco una perla strappata dalle abili mani dei curatori: una lirica d’amore di Konstantinos Kavafis scampata all’oblio – il poeta greco pubblicò in vita soltanto 154 poesie. È la teorizzazione in versi dell’antico motto latino “Amor amara dat”, che compare nel Trinummus, commedia di Plauto: l’amore dà amarezze – i toscani dicono proverbialmente che “amor non è senza amaro”. Amaro e veleno, dice Kavafis, fantasmi di gioventù che compaiono qua e là nel tragico destino umano. Comunque, suvvia! amici del Canto delle Sirene, ricordate che l’amore è anche e soprattutto dolcezza…

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ELIZABETH SONREL, “OUR LADY OF THE PERSIL COW”

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LA FRASE DEL GIORNO
Fu breve quella bella vita. / Ma come furono intensi i profumi, / e in quale straordinario letto giacemmo, / e a quale piacere concedemmo i corpi.

KONSTANTINOS KAVAFIS, Poesie d’amore e della memoria




Konstantinos Petrou Kavafis, (Alessandria d'Egitto, 29 aprile 1863 – 29 aprile 1933), poeta e giornalista greco. Pubblicò 154 poesie, spesso ispirate all'antichità ellenistica, romana e bizantina, percorre, mirando al sublime, i vari gradi di un'esperienza estetica congiunta alla pratica dell'amore omosessuale.


martedì 26 giugno 2012

Come un bambino spaventato


KARMELO C. IRIBARREN

CERTE NOTTI, LA PAURA

Certe notti, mi addosso
al tuo calore sotto le coperte
come un bambino spaventato.
Ho bisogno di toccarti
con urgenza. Ho bisogno
di sapere che sei qui,
che ci sarai per sempre. Sentire
che ho accanto un essere umano,
e che non sono così solo.

(da La ciudad, 2002)

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Karmelo C. Iribarren è un poeta basco, nato a San Sebastian nel 1959: cameriere, autodidatta, lontano dal mondo accademico, è classificato nella corrente del “realismo sporco”, i cui maestri sono Bukowski e Carver. Iribarren coniuga la nuda e cruda sobrietà stilistica con i temi d’amore minimale che sono la parte maggiore della sua poetica. Come in questo caso: la poesia vive soltanto del bisogno di sapere vicino un altro essere umano, di allontanare il mostro della solitudine, per essere “Sempre con me / tu, io con te, sempre / nascosti. Uniti solo / in questo raro amore indicibile”.

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DIPINTO DA “ΔΙΑ ΤΗΣ ΓΡ-ΑΦΉΣ”

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LA FRASE DEL GIORNO
La solitudine non è consigliabile a tutti, perché bisogna essere forti per sopportarla e per agire da soli.
PAUL GAUGUIN




Karmelo C. Iribarren (San Sebastián,  19 settembre 1959), è un poeta spagnolo, autodidatta. Associata al “realismo sporco” di Bukowski e Carver, in realtà la sua è una poesia più minimale, molto spesso frutto di osservazione della strada e dei bar, che l’ha fatta definire “realismo pulito” e “poesia di esperienza”. Tra le sue raccolte poetiche Serie BDal fondo del barOndata di geloAttraversando la notteLa pelle della vita.


lunedì 25 giugno 2012

Monete rosse


LEONARDO SINISGALLI

I FANCIULLI BATTONO LE MONETE ROSSE

I fanciulli battono le monete rosse
Contro il muro. (Cadono distanti
Per terra con dolce rumore.) Gridano
A squarciagola in un fuoco di guerra.
Si scambiano motti superbi
E dolcissime ingiurie. La sera
Incendia le fronti, infuria i capelli.
Sulle selci calda è come sangue.
Il piazzale torna calmo.
Una moneta battuta si posa
Vicino all'altra alla misura di un palmo.
Il fanciullo preme sulla terra
La sua mano vittoriosa.

(da 18 poesie, 1936)

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Ai ragazzi di oggi può sembrare incredibile, ma c’è stato un tempo senza computer, Internet, Facebook, Twitter. C’è stato un tempo in cui la televisione cominciava a trasmettere dalle 17 e finiva i suoi programmi alla mezzanotte su due soli canali. C’è stato un tempo in cui non c’era neppure la televisione e già la radio era un mezzo di comunicazione eccezionale. Altro che XBox e iPhone! I ragazzi degli Anni ‘30 raccontati in questa bellissima poesia di Leonardo Sinisgalli – una delle sue più note – si divertono a un gioco antico, quello di far rimbalzare le monete contro un muro per cercare di avvicinarsi il più possibile e conquistare così l’intera posta. Monete rosse, i centesimi di rame del Regno d’Italia, magari quelli da 5, con la spiga di grano. E il rosso appare anche nel colore del tramonto che incendia ogni cosa, che si riflette sul selciato – bellissima è l’immagine scelta da Sinisgalli: la sera come sangue.

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BARTOLOMÉ ESTEABAN MURILLO, “FANCIULLI CHE GIOCANO A DADI”

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LA FRASE DEL GIORNO
Il bambino che non gioca non è un bambino. Ma l'adulto che non gioca ha perso per sempre il bambino che ha dentro di sé.
PABLO NERUDA




Leonardo Sinisgalli (Montemurro, 9 marzo 1908 – Roma, 31 gennaio 1981), poeta,  saggista e critico d'arte italiano. Noto come Il poeta ingegnere per il fatto che lavorò per Olivetti e Pirelli e per aver fatto convivere nelle sue opere cultura umanistica e cultura scientifica. Fondò e diresse la rivista “Civiltà delle macchine”.


domenica 24 giugno 2012

Come dono fugace


JORGE GAITÁN DURÁN

LA TERRA CHE ERA MIA

Soltanto per riunirsi a Sofia Kühn,
la sua fidanzata tredicenne, Novalis credette nell’aldilà;
invece io credo nel sole, nella neve, negli alberi,
nella farfalla bianca su una rosa rossa,
nell’erba che ondeggia e nel giorno che muore,
perché solo qui come dono fugace posso abbracciarti,
e infine come un dio crearmi nelle tue pupille,
perché ti perdo, con la terra che era mia.

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Parte da Novalis il poeta colombiano Jorge Gaitán Durán per celebrare l’amore perduto. Nell’ottobre 1794 il ventiduenne scrittore tedesco si innamorò perdutamente della tredicenne Sofia Kühn: la ragazza morì due giorni dopo aver compiuto i quindici anni lasciando nell’afflizione il poeta romantico che, grazie anche all’educazione religiosa pietistica, trovò la sua consolazione nella certezza di riabbracciare Sofia nell’aldilà. “Bisogna nobilitare la passione utilizzandola come un mezzo, conservandola a forza di volontà per farne il veicolo di un'idea bella. Per esempio di un'alleanza stretta con un "io" amato” scrisse Novalis nei Frammenti. Jorge Gaitán Durán riversa questa sua “religiosità laica” – mi si perdoni l’ossimoro – nella natura, nel volgere dei giorni: l’amore si realizza nel momento supremo in cui la realtà e l’immaginazione si fondono. 

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LEONID AFREMOV, “SUNSET TEARS”

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LA FRASE DEL GIORNO
Solo perché mille volte ci incendia / l’abbraccio che sono gli amanti nel mondo / moriamo mille volte ogni giorno.
JORGE GAITÁN DURÁN




Jorge Gaitán Durán (Pamplona, Colombia, 12 febbraio 1924 – Pointe-à-Pitre, Guadalupa, 21 giugno 1962), poeta colombiano. La sua poesia era caratterizzata dalla focalizzazione sull'esperienza erotica, come piacere e come spazio che conduce all’istante eterno. Morì nell’incidente del volo Air France 117 da Parigi a Santiago del Cile.


sabato 23 giugno 2012

È estate


MARIO LUZI

PUÒ ESSERMI CELATO IL PIENO GIORNO

Può essermi celato il pieno giorno,
può negarmelo un sipario
di materia e d’ombra,
però flagra, matura,
                                     canta
pur nel silenzio degli uccelli
di là da quel diaframma.
Eccola s’infiamma la raggiera
dai minimi spiragli,
                              s’incendia di straforo
nel nero della stanza
il semicerchio d’oro, clandestina
corona alla vittoria del mattino.
                                         È estate.

(da Sotto specie umana, Garzanti, 1999)

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Non c’è bisogno di vedere una cosa per sapere che esiste: si può arguire da particolari, si può dedurre con la logica, i sensi, l’esperienza. Così in questa bellissima poesia Mario Luzi ricostruisce la presenza dell’estate fuori dalla stanza attraverso piccoli dettagli: un modo diverso della luce di filtrare attraverso le tende e le persiane, oltre una siepe o gli alberi del giardino. Quella corona luminosa, quella lama che penetra attraverso i muri portando con sé il mattino è il segno che l’estate divampa, che regna incontrastata.


ALICE DALTON BROWN, “EVENING INTERPLAY 2000”

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LA FRASE DEL GIORNO
Pomeriggio d’estate – pomeriggio d’estate; queste sono sempre state per me le parole più belle della mia lingua.
HENRY JAMES




Mario Luzi (Castello di Firenze, 20 ottobre 1914 – Firenze, 28 febbraio 2005), poeta italiano, fu uno dei grandi rappresentanti dell’Ermetismo. Più volte candidato al Nobel, fu insignito della Legion d’Onore. Fu Accademico della Crusca e senatore a vita.


venerdì 22 giugno 2012

La sintassi e la radio

 

VITTORIO BODINI

STO DAVANTI ALLA TUA CAVERNA

Sto davanti alla tua caverna.
Esci fuori e arrenditi.
Noi abbiamo la sintassi e la radio,
i giornali e il telegrafo,
e tu non vivi che del mio sonno,
non hai che la roccia a cui ti tieni abbrancato,
e per farmi dispetto
non mi rispondi nemmeno.

(da Dopo la luna, 1952-55)

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Noi. È quella la parola centrale di questa poesia di Vittorio Bodini. Presuppone un’organizzazione, una comunità. E questa, a sua volta, presuppone un’altra cosa: che le leggi che si è data sono considerate giuste, almeno limitatamente a quella maggioranza. E il fatto che questa comunità possieda gli strumenti per scrivere la storia e trasmetterla – il linguaggio e i mass media – pone chi non fa parte della cerchia al di fuori di essa e quindi della legge. Noi abbiamo ragione, tu hai torto. Noi abbiamo il potere, tu quindi il dovere. Noi siamo il primo mondo, tu il terzo. Noi siamo il Nord, tu il Sud. In quella caverna, asserragliato in beata ignoranza, può esserci anche l’uomo comune, oppure il genio, che si ritiene superiore alla massa. Ed è con un certo brivido nella schiena che rileggendo i versi di Bodini mi è venuto in mente 1984, il celebre romanzo di George Orwell: chi controlla i mass media controlla la storia.

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JACOB-PHILIPPE HACKERT, “INTÉRIEUR DE LA GROTTE DITE DE L’OREILLE DE DENYS À SYRACUSE”

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LA FRASE DEL GIORNO
La legge proibisce solo ciò che gli uomini farebbero sotto l'influsso di alcuni loro istinti. Ciò che la natura stessa proibisce e punisce non ha bisogno di essere proibito e punito dalla legge.
SIGMUND FREUD, Totem e tabù




giovedì 21 giugno 2012

Alla caduta del sole

 

PÄR LAGERKVIST

AL CREPUSCOLO

È al crepuscolo che ci si isola,
alla caduta del sole.

È allora che si abbandona tutto.
Il pensiero si chiude nella sua tenda di ragnatela
e il cuore dimentica i motivi della sua angoscia.
Il viandante del deserto abbandona il suo campo,
che presto scomparirà sotto la sabbia,
e prosegue il suo viaggio nella quiete della notte,
guidato da enigmatiche stelle.

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Una poesia per il solstizio d’estate, questa del Premio Nobel svedese Pär Lagerkvist. Io sono sempre stato affascinato dai tramonti, dai crepuscoli – è la mia anima romantica, mi ha detto una volta un’amica, che si avvolge nell’ultimo sole: in queste giornate che non vogliono morire mai rimango a lungo a guardare la luce svanire lentamente sulle colline brianzole, che da verdi diventano viola e poi blu. E confermo quel distico iniziale di Lagerkvist: è al crepuscolo che ci si isola, che si ascolta la natura, che si prova ad entrare in sintonia con l’universo. Quella magia, quella poesia, ci riempiono di una serena armonia e anche noi, come il viaggiatore che inizia la sua marcia notturna nel deserto, siamo pronti a continuare il cammino.

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FOTOGRAFIA © ANDRÉ KARWATH

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LA FRASE DEL GIORNO
Un caffè d'orzo in tazza piccola. Un tramonto in tazza grande. Qui i tramonti sono tagliati in fretta dalle montagne: in qualsiasi caso, la finestra è contenta per quello che riesce a mostrarti.
DAVIDE VAN DE SFROOS, Il mio nome è Herbert Fanucci




Pär Fabian Lagerkvist (Växjö, 23 maggio 1891 – Stoccolma, 11 luglio 1974), scrittore, poeta e drammaturgo svedese. Nel 1951 vinse il premio Nobel per la letteratura con la seguente motivazione: «Per il suo vigore artistico e per l'indipendenza del suo pensiero con cui cercò, nelle sue opere, di trovare risposte alle eterne domande che l'umanità affronta».




mercoledì 20 giugno 2012

Sulla sponda d’un fiume


WISŁAWA SZYMBORSKA

NON OCCORRE TITOLO

Si è arrivati a questo: siedo sotto un albero,
sulla sponda d’un fiume
in un mattino assolato.
È un evento futile
e non passerà alla storia.
Non si tratta di battaglie e patti
di cui si studiano le cause,
né di tirannicidi pieni di memoria.

Tuttavia siedo su questa sponda, è un fatto.
E se sono qui,
da una qualche parte devo pur essere venuta,
e in precedenza
devo essere stata in molti altri posti,
proprio come i conquistatori di terre lontane
prima di salire a bordo.

Anche l’attimo fuggente ha un ricco passato,
il suo venerdì prima di sabato,
il suo maggio prima di giugno.
Ha i suoi orizzonti non meno reali
di quelli nel cannocchiale dei capitani.

Quest’albero è un pioppo radicato da anni.
Il fiume è la Raba, che scorre non da ieri.
Il sentiero è tracciato fra i cespugli
non dall’altro ieri.
Il vento per soffiare via le nuvole
ha dovuto prima spingerle qui.

E anche se nulla di rilevante accade intorno,
non per questo il mondo è più povero di particolari,
peggio fondato meno definito
di quando lo invadevano i popoli migranti.

Il silenzio non accompagna solo i complotti,
né il corteo delle cause solo le incoronazioni.
Possono essere tondi gli anniversari delle insurrezioni,
ma anche i sassolini in parata sulla sponda.

Intricato e fitto è il ricamo delle circostanze.
Il punto della formica nell’erba.
L’erba cucita alla terra.
Il disegno dell’onda in cui s’infila un fuscello.

Si dà il caso che io sia qui e guardi.
Sopra di me una farfalla bianca sbatte nell’aria
ali che sono soltanto sue
e sulle mani mi vola un’ombra,
non un‘altra, non d’un altro, ma solo sua.

A tale vista mi abbandona sempre la certezza
che ciò che è importante
sia più importante di ciò che non lo è.

(da La fine e l’inizio, 1993 – Traduzione di Pietro Marchesani)

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Non occorre titolo. Perché? Perché è qualcosa che sentiamo dentro di noi: sappiamo per istinto, per atavico retaggio, per ispirazione, che l’importanza delle cose non è sempre misurabile. Stare seduti in silenzio sotto un albero mentre scorre il fiume – in questo caso è la Raba, ma potrebbe benissimo essere l’Adda, il Tevere, l’Arno, il Rodano, la Mosella -  è un momento di per sé insignificante eppure pregno di significati: vuol dire entrare in armonia con la natura e interrogare la parte più profonda di se stessi, quella che nei grandi uffici del centro, negli affollati ipermercati di periferia si nasconde nell’intimo, sopraffatta dal caos, dal rumore, dallo stress, intimorita dalla folla. Non occorre titolo, dunque, come ben sa la poetessa polacca Wisława Szymborska, Premio Nobel per la Letteratura 1996.

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CLAUDE MONET, “AU BORD DE L’EAU”

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LA FRASE DEL GIORNO
Passa un secondo. / Un altro secondo. / Un terzo secondo. / Ma sono solo tre secondi nostri.
WISŁAWA SZYMBORSKA, Vista con granello di sabbia




Wisława Szymborska (Kórnik, 2 luglio 1923 – Cracovia, 1º febbraio 2012), poetessa e saggista polacca, insignita del Premio Nobel per la Letteratura nel 1996 “per una poesia che, con ironica precisione, permette al contesto storico e biologico di venire alla luce in frammenti d'umana realtà”.


martedì 19 giugno 2012

Gli antichi sogni


ALEKSANDR PUŠKIN

A ***

Ricordo il magico istante:
davanti m'eri apparsa tu,
come fuggevole visione,
genio di limpida beltà.

Nei disperati miei tormenti,
nel chiasso delle vanità,
tenera udivo la tua voce,
sognavo i cari lineamenti.

Anni trascorsero. Bufere
gli antichi sogni poi travolsero,
scordai la tenera tua voce,
i tuoi sublimi lineamenti.

E in silenzio passavo i giorni
recluso nel vuoto grigiore,
senza più fede e ispirazione,
senza lacrime, né vita e amore.

Tornata è l'anima al risveglio:
e ancora mi sei apparsa tu,
come fuggevole visione,
genio di limpida beltà.

E nell'ebbrezza batte il cuore
e tutto in me risorge già -
e la fede e l'ispirazione
e la vita e lacrime e amore.

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A proposito della poesia romantica del grande scrittore russo Aleksandr Puškin, il critico Guido Davico Bonino parla di una discrepanza tra gli aneliti umani verso l’alto – bellezza, libertà, pace – e la mancanza della loro realizzazione. Appare chiara nei versi dedicati all’ignota *** questa afflizione: l’impossibilità di porre in essere l’armonia ideale dell’amore si concretizza in una piatta grigia abulia che solo l’amore stesso o la sua parvenza sono in grado di superare.

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JOHN WILLIAM WATERHOUSE, “WATERFLOWERS”

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LA FRASE DEL GIORNO
Distruggendo il pensiero amoroso / dispero di scordare la mia bella / E, ahimè, sfuggendo Mascia / Credo di riacquistare la libertà! // Ma gli occhi che mi hanno affascinato, / Me li vedo dinanzi a ogni istante; / Essi hanno turbato il mio spirito / E distrutta la mia pace.

ALEKSANDR PUŠKIN, La figlia del capitano





Aleksandr Sergeevič Puškin ( Mosca, 6 giugno 1799, – San Pietroburgo, 10 febbraio 1837) , poeta, saggista, scrittore e drammaturgo russo. Passò da un'iniziale fase romantica ad una successiva di più accentuato realismo, culminata nel romanzo Evgénij Onégin. Morì in duello, ucciso dal barone francese George D’Anthès.

lunedì 18 giugno 2012

Monotonia delle contraddizioni


ALDO PELLEGRINI

SULLA CONTRADDIZIONE

Se allungo una mano incontro una porta
se apro la porta c’è una donna
allora affermo che la realtà esiste
nel profondo della donna abitano fantasmi monotoni
che occupano il posto delle contraddizioni
oltre la porta c’è la strada
e nella strada polvere, escrementi e cielo
e anche questa è la realtà
e anche in questa realtà esiste l’amore
cercare l’amore è cercare se stessi
cercare se stessi è il mestiere più triste
monotonia delle contraddizioni
lì dove non arrivano le leggi
nel cuore stesso della contraddizione
impercettibilmente
allungo la mano
e vivo.

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“Il mondo è una perpetua caricatura di se stesso: in ogni momento è la presa in giro e la contraddizione di ciò che finge di essere” scrisse il filosofo spagnolo George Santayana. Il mondo-caricatura è quello che descrive in questi versi il poeta e critico d’arte argentino Aldo Pellegrini: un mondo di brutture dove inspiegabilmente fiorisce l’amore, un mondo di sogni e illusioni dove tutto può essere vero oppure un miraggio. Un mondo che non abbiamo creato a nostra misura ma nel quale – nonostante tutte le sue contraddizioni - siamo costretti a vivere.

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GIORGIO DE CHIRICO, “LA STAZIONE DI MONTPARNASSE”

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LA FRASE DEL GIORNO
La nostra vita è impossibile, assurda. Ogni cosa che noi vogliamo è contraddittoria con le condizioni o con le conseguenze relative; ogni affermazione che noi pronunciamo implica l'affermazione contraria; tutti i nostri sentimenti sono confusi con i loro contrari. Siccome siamo creature siamo contraddizione; perché siamo Dio e, al tempo stesso, infinitamente altro da Dio.
SIMONE WEIL, L’ombra e la grazia




Aldo Pellegrini (Rosario, 20 dicembre 1903 – Buenos Aires, 30 marzo 1973), poeta, drammaturgo, saggista e critico d'arte argentino. Due anni dopo la pubblicazione del Primo Manifesto surrealista di André Breton nel 1924, fondò il primo gruppo surrealista sudamericano in Argentina, che portò alla pubblicazione di due numeri della rivista That nel 1928.



domenica 17 giugno 2012

Non è solo degli umani


KO UN

LA FILA DI FORMICHE

La fila di formiche
attraversa la strada in orizzonte
forse
per farci capire, poco a poco,
oggi
domani
e ancora domani
che questo mondo
non è solo degli umani

nella cocente luce di mezzogiorno il cuculo smette di cantare

(da Fiori d’un istante, 2001 – Traduzione Vincenza D’Urso)

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“Questo mondo non è solo degli umani”: è una frase che dovremmo tenere sempre bene impressa nelle nostre menti. Invece le cronache degli ultimi millenni sono zeppe di testimonianze che la contraddicono: costruiamo case su vulcani, diamo fuoco ai boschi, disboschiamo vaste aree del pianeta, inquiniamo i fiumi e i mari, riempiamo di spazzatura non solo la terra ma anche gli oceani. E ci sentiamo lesi nella nostra maestà quando la natura si ribella o soltanto segue il suo istinto: è cronaca recente la crociata contro gli orsi in Alto Adige, così come lo sterminio dei cani randagi per gli Europei di calcio in Ucraina. Il poeta sudcoreano Ko Un, più volte candidato al Nobel, lo sa bene: nel 1970 abbandonò la caotica Seul per rifugiarsi in campagna. In quell’Arcadia seguire una fila di formiche su una strada è più naturale che osservare una folla di persone frettolose in una trafficata via metropolitana.

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LA FRASE DEL GIORNO
Dall'elefante alla pulce, e dalla pulce alla molecola sensibile e vivente, che costituisce l'origine di ogni cosa, non c'è un punto in tutta la natura che non soffra o non goda.
DENIS DIDEROT, Oeuvres philosophiques




Ko UnKo Un (Kunsan, 1° agosto 1933), è il massimo poeta sudcoreano del XX secolo. Monaco buddista, tornò allo stato laicale disgustato dalla corruzione del clero. Prese parte alla lotta per i diritti umani nel suo paese negli anni del regime militare, finendo anche in carcere. Sposatosi nel 1983, la sua vita si fece più tranquilla. È stato più volte candidato al Premio Nobel.

sabato 16 giugno 2012

Nostalgia


RAMIRO FONTE

PROMESSA

Forse erano migliori
I nostri cuori quando erano fragili
E qualche maroso, o la notte di luglio
Potevano aprire silenziose ferite
Che ora, e per sempre, chiamiamo nostalgia.
Forse erano migliori quando erano
Come bassi ruscelli o pomeriggi piovosi
Che bagnavano l’infanzia e condividevano
Un dominio comune; un’ampia vallata,
Immensi arenili, quel balcone
Circondato da lucidi gerani.
Non servivano barche per andare lontano;
Né la brezza leggera dell’estate
Per spegnerli, con quel fuoco ribelle.
Simili agli uomini, desideravano
Gli alberi antichi di questa terra.

(da Pasa un segredo, 1988)

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Da bambini abbiamo la smania di crescere, di diventare finalmente adulti e godere di quei privilegi che consideriamo appartenere ai “grandi”. Poi, giocoforza, si cresce, si diventa adulti e – come per un contrappasso da Inferno dantesco – ci troviamo a rimpiangere i tempi dell’infanzia e dell’adolescenza, a desiderare ardentemente quell’età dorata: baratteremmo i doni avuti dal tempo, il fardello inutile dell’esperienza, la noia di giorni troppo uguali per riprovare i sentimenti di allora. Così anche il poeta spagnolo Ramiro Fonte (1957-2008): anche lui avrebbe voluto che i ricordi, per chissà quale miracolo o magia, si potessero trasformare di nuovo in realtà.

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L.C. NEILL, “DANDELION XI”

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LA FRASE DEL GIORNO
A volte ci sorprendiamo / a inseguire ricordi come talora prova / il marinaio cieco con i suoi occhi / l’illusione di una luce che viene dal mare.
RAMIRO FONTE, Adeus Norte




Ramiro Fonte Crespo (Pontedeume, 1957 – Barcellona, 11 ottobre 2008), poeta, scrittore, saggista e critico letterario spagnolo di lingua galiziana. Laureato in Lettere e Filosofia e professore di Lingua e Letteratura Galiziana, appartenne alla Xeración dos 80. Fu uno dei fondatori del collettivo poetico Cravo Fondo.


venerdì 15 giugno 2012

Nella notte del cinema


CARLOS MARZAL

INVOCAZIONE

Che altre vite più profonde soffochino la mia nostalgia
e che il dono del coraggio mi sia concesso.
Che l’amore cresca e sia fedele e duri
e che scenari diversi intralcino la tristezza.
Che l’oblio e la morte, che il tempo e il dolore
si schierino per una volta dalla parte sconfitta.
Che le luci si spengano, e nella notte del cinema
una breve bugia ci renda più vivi.

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Una tregua – questo chiede il poeta spagnolo Carlos Marzal. Una tregua dal pensare, dal tormento dei giorni, dal loro susseguirsi di problemi e di notizie non proprio confortanti. E trova questa sua oasi di tranquillità dove la nostalgia e la tristezza restano confinate in un altro mondo nella sala buia di un cinema: la realtà per un paio d’ore si trasferisce sullo schermo.

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FOTOGRAFIA © GRANGER

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LA FRASE DEL GIORNO
Il cinema è l'unica forma d'arte nella quale le opere si muovono e lo spettatore rimane immobile.

ENNIO FLAIANO




Carlos Navarro Marzal (Valencia, 1961) , poeta spagnola. È considerato uno dei principali rappresentanti della poesia dell'esperienza, che dominò la poesia spagnola degli anni 80 e 90. La suaopera ha raggiunto il suo massimo punto di successo con la pubblicazione di Metalli pesanti, nel 2002. 


giovedì 14 giugno 2012

Una bambola meccanica


FOROUGH FARROKHZAD

LA BAMBOLA MECCANICA

Più di così,
sì molto più ancora
si può restare in silenzio
Per ore,
con lo sguardo immobile dei cadaveri,
si può fissare il fumo di una sigaretta
la forma di una tazza
un pallido fiore sul tappeto
un vago tratto sul muro
Con le rigide dita
si può scostare la tenda
e guardare fuori la pioggia che batte,
il bimbo e l’aquilone dipinto
sotto il porticato
e il vecchio carro
attraversare chiassoso la piazza deserta
Vicino alla tenda
si può restare immobili
senza vedere, senza sentire
Con la voce aliena e artefatta
si può gridare forte
“Io amo”
Tra le braccia vigorose di un uomo,
si può essere una donna sana e bella
Con il corpo dalla pelle tesa
con i seni duri e pieni
si può inquinare
nel letto di uno sbronzo, un randagio, un folle
la purezza di un amore
Si può beffare con astuzia
ogni incomprensibile enigma
e accontentarsi di un cruciverba
Si può essere felici
di una risposta banale di cinque o sei lettere,
sì, una risposta banale
Ci si può inginocchiare,
tutta la vita, a testa bassa,
innanzi a un santuario freddo
Si può vedere Dio in una tomba ignota
Si può credere in Dio
Per una piccola moneta
Si può lentamente marcire
come un vecchio predicare
nelle piccole stanze di una moschea
Si può, come lo zero,
nelle divisioni e nelle moltiplicazioni,
restare sempre immutati
si può considerare il tuo sguardo di rancore
il bottone scolorito di una vecchia scarpa
e come l’acqua prosciugarsi nel proprio fossato
Si può nascondere timidamente
in fondo a un vecchio baule,
come una buffa istantanea in bianco e nero,
la bellezza di un attimo
Si può appendere
nella cornice vuota di una giornata
l’immagine di un condannato, vinto crocefisso
si possono coprire,
dietro le maschere, le crepe del muro
o aggiungere ancora altre inutili figure
Si può guardare al proprio mondo
con gli occhi vitrei della bambola meccanica
Si può dormire in una scatola di panno ruvido
con il corpo riempito di paglia
tra pizzi e perline
e a ogni volgare pressione delle dita
gridare invano
“oh, come sono felice”.

(da Un’altra nascita, 1964 - Traduzione di Faezeh Mardani)

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Della poetessa iraniana Forough Farrokhzad avevo già parlato proponendone un profilo biografico e una breve scelta di poesie. Una donna emancipata e disinibita nell’Iran degli Anni ‘50 e ‘60, un paese non certo ostile come quello di adesso, ma sicuramente chiuso e con una concezione del ruolo della donna che mal si attagliava all’esuberanza della sfortunata Forough: La bambola meccanica elenca tutta una vita con i suoi errori, i momenti di abulia, le dolcezze, le passioni, le alienazioni, la poesia, la condivisione. Quello che non si può essere è proprio un automa in balia degli altri, soggetto alle volontà e ai desideri altrui. Per sottrarsi a quel ruolo, alla distruzione della propria individualità, Forough scelse la fuga, in Germania, Francia, Italia, Inghilterra. Ma forse era in fuga anche da se stessa…

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FOTOGRAFIA © MILLIONTALKS
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LA FRASE DEL GIORNO
Con i miei desideri, / con il mio dolore, / io sono sulla terra: / voglio l’elogio delle stelle / voglio le carezze del vento
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FOROUGH FARROKHZAD, Un’altra nascita




FarrokhzadForough Farrokhzad (Teheran, 5 gennaio 1935 – Tafresh, 13 febbraio 1967), poetessa iraniana. Sfidando le autorità religiose, espresse con fermezza sensazioni e sentimenti della situazione femminile nella società iraniana degli anni cinquanta-sessanta, contribuendo al rinnovamento della letteratura persiana del '900. Morì in un incidente stradale tornado da una visita alla madre. La sua poesia fu vietata dalla rivoluzione islamica del 1979.


mercoledì 13 giugno 2012

Il muro della terra

 

GIORGIO CAPRONI

ANCH’IO

Ho provato anch'io.
È stata tutta una guerra
d'unghie. Ma ora so. Nessuno
potrà mai perforare
il muro della terra.

(da Il muro della terra, Garzanti, 1975)

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Scalfire il mistero dell’esistenza, provare a penetrarlo scavando dentro la vita ben sapendo che è inutile, che è impossibile abbattere quel muro della terra di dantesca memoria: “Ora sen va per un secreto calle, / tra'l muro della terra e li martiri, / lo mio maestro, e io dopo le spalle”, è il decimo canto dell’Inferno, quello con Farinata e gli eretici. Giorgio Caproni ha provato per tutta la vita a servirsi del linguaggio per forare quel muro, senza riuscirci: anzi, arrivando a comprendere che le parole sono uno strumento non adeguato, un mezzo illusorio che dipinge realtà travisate. Agli uomini non restano che vaghi inganni, miraggi apparsi come morgane in un deserto.

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MICAH CONDON, “BREAKING GROUND”

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LA FRASE DEL GIORNO
Buttate pure via / ogni opera in versi o in prosa. / Nessuno è mai riuscito a dire / cos’è, nella sua essenza, una rosa.
GIORGIO CAPRONI, Il muro della terra




Giorgio Caproni (Livorno, 7 gennaio 1912 – Roma, 22 gennaio 1990), poeta, critico letterario e traduttore italiano. Partito come preermetico attirato da uno scabro espressionismo, approdò a un ermetismo rivestito di un impressionismo idillico. Nella sua poesia canta soprattutto temi ricorrenti (Genova, la madre e Livorno, il viaggio, il linguaggio), unendo raffinata perizia metrico-stilistica a immediatezza e chiarezza di sentimento.


martedì 12 giugno 2012

Un vestito di silenzio

 

JULIA UCEDA

LETTERA

La pagina inondata di silenzio.
Qualcuno la comprende?

Scriverei: “Odo
voci di molti uccelli”, o
“È morto dimenticato”, ma
qualcuno può comprendere?

Un vestito di silenzio,
di voci frammentarie.

No, probabilmente:
meglio informazioni precise,
che ne dite?

E la firma, senza data.

Il resto del foglio, meditando in silenzio,
percorso da una penna senza inchiostro,
dalla voce di una muta,
si lascerà guardare.

Forse si capirà…

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Suppongo che le parole essenziali / che mi esprimono stanno in quelle pagine / che mi ignorano, non in ciò che ho scritto” poetò il grande Jorge Luis Borges nella Rosa profonda. E parlava anche della “ardente e cieca rosa che non canto, / la rosa irraggiungibile”. La poetessa spagnola Julia Uceda si pone lo stesso problema: come dire l’indicibile, come esprimere l’ineffabile. La soluzione è nel silenzio, nel non detto, è nel foglio bianco dove l’ossimoro di una “voce muta” viene infine a raccontare quello che le parole non sono in grado di dire.

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JAN VERMEER, “DONNA CHE SCRIVE UNA LETTERA”

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LA FRASE DEL GIORNO
Per me la più piccola parola è circondata da acri ed acri di silenzio, e perfino quando riesco a fissare quella parola sulla pagina mi sembra della stessa natura di un miraggio, un granello di dubbio che scintilla nella sabbia.
PAUL AUSTER, Leviatano




Julia Uceda Valiente (Siviglia, 22 ottobre 1925), poetessa e docente spagnola. Vincitrice del Premio Nazionale di Poesia 2003 con Nel vento, verso il mare. Dal 1965 al 1973 visse e insegnò nel Michigan, poi in Irlanda, prima di tornare in Galizia. Tra i suoi temi l’amore che trascende la vita quotidiana, il sogno, il tempo e il ricordo.


lunedì 11 giugno 2012

Mentre suona Lucy in the Sky


ANÍBAL NÚÑEZ

AMICA TI CONTEMPLO MENTRE SUONA

Amica ti contemplo mentre suona
lusi indescai uiz daiamons
le tue due trecce nostalgiche
del collegio di suore una grande casa
dove l’amore tendeva le sue imboscate
nei libri di messa i segni
che ti lasciò in fronte la varicella
ti vedo la bocca amore di scogliere
dove frange la tua voce...
e ugualmente vedo
i segni del tempo consumato al mio fianco
- la musica è finita – raccolgo lo sguardo
e torno a farlo passare sul tuo braccio
sulla tua manica dove sono
le sette di sera
e lo alzo fino al cielo inanimato
che oggi minacciava pioggia.

Marzo 1970

(da Favole domestiche, 1972)

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Suona Lucy in the sky with diamonds, celebre canzone dei Beatles, in questa poesia del 1970 di Aníbal Núñez poeta, pittore e traduttore spagnolo di cui la critica pone in rilievo nella poetica “la dissociazione tra realtà e sentimento”, che lui stesso definì così: “Non credo in una poesia che valga per la sua mera intenzione di essere confessione, e sì, in qualsiasi intervento che si attenga al linguaggio, che rinnovi la fantasia o la cronaca con un anteriore compromesso con la parola strumentale”. In effetti non succede quasi nulla in questa sua poesia dai toni minimalisti, come dal titolo della raccolta, Favole domestiche: suona il disco, il poeta guarda l’amica e legge sul volto di lei una vita di ricordi; la musica finisce e lo sguardo si perde fuori, dove un cielo indefinito copre la città.

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SALVADOR DALÍ, “GIOVANE DONNA SEDUTA DI SPALLE”, 1925

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LA FRASE DEL GIORNO
Il lavoro è salute, i sogni / sono azioni e amori / e – a parte la poesia – tu che cosa sei?

ANÍBAL NÚÑEZ, Favole domestiche




Aníbal Núñez San Francisco (Salamanca, 1° novembre 1944 – 13 marzo 1987) poeta, pittore e traduttore spagnolo. La sua poesia indaga la dissociazione tra realtà e senso.


domenica 10 giugno 2012

Ignominiosamente


MARIO LUZI

MUORE IGNOMINIOSAMENTE LA REPUBBLICA

Muore ignominiosamente la repubblica.
Ignominiosamente la spiano
i suoi molti bastardi nei suoi ultimi tormenti.
Arrotano ignominiosamente il becco i corvi nella stanza accanto.
Ignominiosamente si azzuffano i suoi orfani,
si sbranano ignominiosamente tra di loro i suoi sciacalli.
Tutto accade ignominiosamente, tutto
meno la morte medesima - cerco di farmi intendere
dinanzi a non so che tribunale di che sognata equità. E l'udienza è tolta.

(da Al fuoco della controversia,1978)

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Era il 1978 quando Mario Luzi scrisse questi versi: erano parte di una sezione sociale nella raccolta Al fuoco della controversia. Il poeta, l’intellettuale, non poteva tacere di fronte alla situazione che si era venuta a creare: erano i tempi del rapimento di Aldo Moro in Via Fani con la scorta di cinque uomini trucidata dalle Brigate Rosse e dell’assassinio dell’uomo politico democristiano, “il capo di cinque governi, / punto fisso o stratega di almeno dieci altri, / la mente fina, il maestro / sottile / di metodica pazienza, esempio / vero di essa / anche spiritualmente”, fatto ritrovare in Via Caetani a Roma, “acciambellato in quella sconcia stiva, / crivellato da quei colpi”. Luzi grida tutto il suo sdegno per quella crisi sociale e politica che aveva portato agli “anni di piombo”: la sua protesta è amplificata da quella parola ripetuta ben sei volte: “ignominiosamente”; c’è tutta l’infamia, tutto il disonore che questa povera patria ha dovuto sopportare. Sembrano versi scritti non nel 1978, ma cinque minuti fa: si adattano in maniera imbarazzante alla situazione politica attuale, dove al muro contro muro dei due poli scaturito dalla rivoluzione della Seconda Repubblica è subentrato il tutti contro tutti odierno, lo scollamento definitivo tra il paese reale e il paese politico, tra la gente comune e lorsignori, gli onorevoli che hanno ormai perso il polso del paese e si arroccano a difesa dei loro privilegi mentre l’Italia va a pezzi – e purtroppo non solo in senso figurato.

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MICHELANGELO PISTOLETTO, “STRACCI D’ITALIA”, 2007

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LA FRASE DEL GIORNO
Ahi serva Italia, di dolore ostello, / nave sanza nocchiere in gran tempesta, / non donna di province, ma bordello!
DANTE ALIGHIERI, Purgatorio, VI, 76-78




Mario Luzi (Castello di Firenze, 20 ottobre 1914 – Firenze, 28 febbraio 2005), poeta italiano, fu uno dei grandi rappresentanti dell’Ermetismo. Più volte candidato al Nobel, fu insignito della Legion d’Onore. Fu Accademico della Crusca e senatore a vita.


sabato 9 giugno 2012

Fremito segreto

 

JAIME GARCÍA TERRÉS

ARCHITETTURE INTIME

Ci sono poesie costruite
in una sola sera
                                     senza alcun problema
perché scaturiscono rotonde nella luce vespertina
come interi microcosmi,
                                                            fatte
e finite,
                          dono agile della musa.

Altre invece richiedono anni
interi di lavoro sparso:
numerose bozze
                                                 dopo ricerche
minuziose in climi molto differenti.

Ma non sappiamo nulla,
                                           quali che siano
i casi,
                      del fremito segreto;
                                                                 niente di nuovo
riusciamo ad imparare dai percorsi,
                     né dai più brevi né dai più lunghi;
solo che conducono il sogno a completare il suo destino
aprendoci gli occhi sulla sua esperienza.

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Eugenio Montale lasciò trascorrere tredici anni tra la stesura della prima parte di Dora Markus e la seconda. C’è da pensare che Giuseppe Ungaretti invece impiegò pochi secondi per mettere sulla carta di un taccuino le quattro parole di Mattino il 26 gennaio 1917. Scrivere una poesia non è questione di sola tecnica: è un sedimentare di pensieri che si mescolano con intuizioni ed emozioni e poi si trasformano in versi. L’ispirazione può essere immediata o covare giorni, mesi, addirittura anni come un fuoco sotto la cenere. È a questo mistero che pensa il  messicano Jaime García Terrés: nulla è spiegabile, tutto è ineffabile, ma il poeta continua, come Juan Ramón Jiménez, a ricercare “il nome esatto delle cose”.

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FRANTISEK KUPKA, “AMORPHA, FUGUE EN DEUX COULEURS”

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LA FRASE DEL GIORNO
Le parole che ho detto, i canti che ho misurato / sono stati verità per un istante, poi più nulla.
JAIME GARCÍA TERRÉS




Jaime García Terrés (Città del Messico (24 maggio 1924 – 29 aprile 1996), poeta editore, saggista, traduttore e diplomatico messicano. Direttore del Fondo di Cultura Economica, fu ambasciatore in Grecia dal 1965 al 1968. La sua opera indaga la banalità del vivere quotidiano. Tradusse Eliot, Pound, Yeats, Benn e Hölderlin.