sabato 28 febbraio 2015

In quella luce di fine maggio

 

SHARON OLDS

RITORNO AL MAGGIO 1937

Li vedo in piedi davanti ai cancelli simmetrici dei loro college
vedo mio padre sotto l’arco di arenaria ocra,
le piastrelle rosse che brillano
come scaglie di sangue dietro la sua testa,
vedo mia madre con pochi libri smilzi appoggiati sul fianco
in piedi davanti al pilastro di mattoni
col cancello in ferro battuto ancora aperto dietro di lei
le punte di lancia nere nell’aria di Maggio,
stanno per laurearsi, stanno per sposarsi,
sono ragazzi, sono stupidi,
tutto ciò che sanno è che sono innocenti,
che non farebbero mai del male a nessuno.
Voglio andare da loro e dire Fermi non fatelo,
lei è la donna sbagliata, lui è l’uomo sbagliato
farete cose che mai pensereste di poter fare
farete del male ai figli
soffrirete in modo inimmaginabile
vi augurerete di morire.
Voglio andare da loro in quella luce di fine Maggio
e dirglielo, il bel visino di lei desideroso e vuoto che si volta verso di me,
il suo bel corpo intatto che fa tenerezza,
il bel viso di lui arrogante e cieco che si volta verso di me,
il suo bel corpo intatto che fa tenerezza,
ma non lo faccio.
Voglio vivere.
Li tiro su come il maschio e la femmina delle bambole di cartapesta
e li sbatto una contro l’altro per i fianchi
come schegge di selce da cui far scaturire scintille,
dico: fate quello che state per fare
e io lo racconterò.

(I go back to May 1937, da The Gold Cell, 1987 – Traduzione di Giorgio Van Straten)

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Questa poesia di Sharon Olds è famosa perché inserita nel bel film Into the Wild (Nelle terre estreme) che Sean Penn ha tratto nel 2007 dall’omonimo libro di Jon Krakauer, che raccontava una storia vera: il viaggio che Chris McCandless intraprese per sfuggire alla società consumista e capitalista, gesto di ribellione a un mondo  che vedeva falso, a partire dalla famiglia. Proprio dei genitori parla la cruda poesia della Olds: è una figlia ferita che giudica il padre e la madre e i loro errori, i loro difetti, le loro mancanze. Ma è altresì consapevole che altra scelta non c’è, che quella è la strada che il destino le ha riservato e che nessuna macchina del tempo la riporterà indietro, se non la poesia.

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Students, 1930s (24)

FOTOGRAFIA © VINTAGE EVERYDAY

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LA FRASE DEL GIORNO
Al giorno d'oggi si dà la colpa ai genitori in tutto. Ma anche loro hanno avuto genitori.
WILLIAM INGE, Splendore nell’erba, sceneggiatura




Sharon Olds (San Francisco, California, 12 novembre 1942), poetessa statunitense. La sua poesia usa un linguaggio crudo e immagini sorprendenti per trasmettere verità sulla violenza domestica e politica e sulle relazioni familiari. Ha vinto il Pulitzer per la Poesia nel 2013.


venerdì 27 febbraio 2015

Monete perdute

 

LÊDO IVO

LA MONETA PERDUTA

Nel mio sogno trovo la moneta perduta.
Era riposta sul fondo dell’oceano,
nella grotta di corallo dove i naufragi non arrivano,
nel territorio puro dove non arriva la morte.

E al risveglio sono muto come i pesci.
La mia terra è uguale al mare, ha la purezza dell’acqua.
Tutte le parole sono monete perdute.

(A moeda perdida, da A noite misteriosa, 1982)

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La poesia dello scrittore brasiliano Lêdo Ivo viene dal mare, viene dalla notte: le domande metafisiche che essa pone trovano risposte nel sogno e solo in esso, nell’inconscio che vive dento di noi ma che nel giorno si cela, come quella moneta nascosta sul fondo dell’oceano, in una bellissima grotta di corallo.

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Coin

FOTOGRAFIA © KAMA FRANKLING

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LA FRASE DEL GIORNO
Il tempo non esiste nell'anima del poeta, / tutto è universale e include tutti i tempi.
LÊDO IVO, Una lira dei vent’anni




Lêdo Ivo (Maceió, 18 febbraio 1924 – Siviglia, 23 dicembre 2012), poeta, saggista e giornalista brasiliano, appartenente alla "Generazione del 1945". Dopo una prima fase poetica caratterizzata dallo stile surrealista, si avvicinò al modernismo seguendo come modelli Rimbaud e Mallarmé.


giovedì 26 febbraio 2015

Il canto della spiaggia

 

SOPHIA DE MELLO BREYNER ANDRESEN

LA CONCHIGLIA DI KOS

Questa conchiglia non l’ho raccolta
Su nessuna spiaggia
Ma nella mediterranea notte blu e nera
La comprai a Kos in un negozio lungo il molo
Vicino agli alberi oscillanti delle barche

E mi sono portata con me il fragore delle burrasche
Ma non sento in essa
Né le mareggiate di Kos né quelle di Egina
Solo il canto della vasta e lunga spiaggia
Atlantica e sacra
Dove per sempre la mia anima fu creata.

Giugno 1993

(O Búzio de Cós, da  O Búzio de Cós e outros poemas, 1996

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“Il mare è l'origine della vita, la gioia, la completezza. Il mare ha lunghe braccia protettive che ti possono ricevere sempre. Il mare è un fratello che dà molto senza ricevere niente” scriveva Romano Battaglia. Il mare dal quale tutti siamo venuti milioni e milioni di anni fa, il mare che ci sentiamo dentro. La poetessa portoghese Sophia de Mello Breyner Andresen esprime questo attaccamento al mare come origine – quello che sente nella conchiglia comprata in un negozio di souvenir nel porto greco di Kos è il suo, quello della spiaggia sull’Atlantico dove è nata, è la voce della casa dell’anima.

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shell2

BETH KIRK, “SHELL II ON BEACH”

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LA FRASE DEL GIORNO
Siamo legati all'oceano. E quando torniamo al mare, sia per navigarci che per guardarlo, torniamo da dove siamo venuti.
JOHN FITZGERALD KENNEDY, Discorso all’America’s Cup, 14 settembre 1962




Sophia de Mello Breyner Andresen (Porto, 6 novembre 1919 – Lisbona, 2 luglio 2004), poetessa portoghese, seconda donna a vincere il Premio Camões nel 1999. La sua opera consta di 15 libri di poesia, pubblicati tra il 1947 e il 1999, che riconoscono alla parola un valore intrinseco e per questo sono rigorosi, armonici ed equilibrati. Scrisse anche racconti, opere teatrali e libri per ragazzi


mercoledì 25 febbraio 2015

La voce della notte

 

WALLACE STEVENS

DUE FIGURE NELLA DENSA LUCE VIOLA

Tanto varrebbe essere abbracciati dal portiere dell’albergo
Che non ottenere nulla dal chiaro di luna
Se non la tua mano umida.

Sii la voce della notte e della Florida nelle mie orecchie
Usa parole cupe e immagini cupe.
Oscura il tuo linguaggio

Parla, ancora, come s’io non t’udissi parlare,
Ma parlassi per te perfettamente nei miei pensieri,
Concependo parole,

Come la notte concepisce nel silenzio i suoni del mare,
E con il sussurro delle loro sibilanti compone
Una serenata.

Di’, puerile, che le poiane posano sul palo della tenda
E dormono con un occhio aperto sopra le stelle che cadono
Dietro Key West.

Di’ che le palme sono chiare in un azzurro assoluto,
Sono chiare e sono oscure; che è notte;
Che risplende la luna.

(Two figures in dense violet light, da Harmonium, 1923 - Traduzione di Carlo Izzo)

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La poesia dell’autore statunitense Wallace Stevens fa pensare a certa arte pittorica del Novecento, con la sua predisposizione all’immagine concreta, plasmata, e all’uso dei colori. Così anche le due figure di amanti impacciati dalla loro differenza che si ritagliano nella luce viola di questi versi sotto la luna della Florida vivono di tale atmosfera, nei riflessi di un chiaro di luna che potrebbe essere di Chagall o di Picasso, cui Stevens - pittore in proprio - si ispirò per le poesie di L’uomo con la chitarra blu.

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EDWARD HOPPER, “SUMMER EVENING”

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LA FRASE DEL GIORNO
Tutto è complicato; se non fosse così, la vita e la poesia e tutto il resto sarebbero una noia.
WALLACE STEVENS, Lettere




Wallace Stevens (Reading, Pennsylvania, 2 ottobre 1879 – Hartford, Connecticut, 2 agosto 1955) è stato un poeta statunitense. Laureato ad Harvard, avvocato dal 1904, lavorò per una compagnia di assicurazioni. Espressione tra le più alte del Modernismo, nei suoi versi risaltano  l'immaginazione e lo spessore metaforico del linguaggio.


martedì 24 febbraio 2015

Euridice raccoglie la lira

 

ULLA HAHN

EDIZIONE CORRETTA

Ancora solo pochi passi e poi
lei sarà di nuovo sua sentirà
libererà il suo canto che senza di lei
inaridisce. Collo naso orecchie
gli occhi i capelli la bocca
e così via lui
li canterà solo
a eterna gloria di lei.
Ma una voce si alza.
Orfeo ascolta:
lei che doveva solo tendere l'orecchio
cantando gli piomba sulle spalle.
Allora
si volta ed
ecco
dalle turbate mani gli scivola
la lira. Che Euridice raccoglie
e uscendo percuote piano
con tocchi trattenuti. Collo naso orecchie
gli occhi i capelli la bocca
e così via lei
li canterà solo
a eterna gloria di lui.
Se Orfeo l'abbia poi seguita
le fonti lasciano
all'oscuro.

(Verbesserte Auflage, da Herz über Kopf, 1980 - Traduzione di Gio Batta Bucciol)

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La poetessa tedesca Ulla Hahn rivede il mito di Orfeo ed Euridice, rovesciandone i ruoli. Orfeo è l’artista, il cantore che si accompagna con la lira; Euridice è la sua amata, la musa, che per sfuggire al potente bulletto di turno, Aristeo, figlio di Apollo, pesta un serpente velenoso e ne rimane uccisa. Orfeo impazzisce di dolore, scende all’Ade – il regno dei morti dei Greci – per riportarla in vita. Ammalia Caronte con la poesia della sua lira, con il suo canto riesce a stregare Cerbero, a commuovere la dea degli inferi Persefone, che gli consente di riportare in superficie Euridice senza però voltarsi mai – quello che è in realtà un atto di fede. Orfeo purtroppo, sull’ultimo passo, si volta per fugare il suo dubbio e vede Euridice svanire per sempre nel regno dei morti. La Hahn, con un tocco che fa pensare alla Szymborska, aggiunge al mito quel momento di arbitrio femminista che Euridice invece non ha: la rende compagna salvifica, significando il fatto che la donna sceglie la vita. È la sorte di Orfeo allora a rimanere sospesa come un dubbio.

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John_Roddam_Spencer_Stanhope_-_Orpheus_and_Eurydice_on_the_Banks_of_the_Styx,_1878

JOHN RODHAM SPENCER STANHOME, “ORFEO ED EURIDICE SULLE RIVE DELLO STIGE”

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LA FRASE DEL GIORNO
Poiché il mito ruba al linguaggio, perché non rubare al mito?
ROLAND BARTHES




Ulla Hahn (Brachthausen , oggi Kirchhundem im Sauerland, 30 aprile 1945), scrittrice e poetessa tedesca. Giornalista per Radio Brema, pubblicò la sua raccolta d’esordio, Herz über Kopf, nel 1981.  Il suo stile, lirico, tradizionale ed elegante, è stato definito "rococò post-rivoluzionario".


lunedì 23 febbraio 2015

La dea bianca

 

JOSÉ EMILIO PACHECO

LA DEA BIANCA

Poiché sa quanto la ami e come parlo di lei in sua assenza,
la neve è venuta a cercarmi.
Ha dipinto di Bruegel gli alberi.
Ha dipinto di Hokusai il campo desolato.

Impossibile accontentare tutti.
La neve che per me è la dea, la sposa,
Astarte, Diana, l’eterna ragazza,
per altri è la nemica, la strega, la condannata al rogo.
Ostacola i loro lavori e i loro guadagni.
La odiano per averla vista tanto e per essere cresciuti con lei.
La collegano al sudario e alla morte.

Ai miei occhi invece è la giovane vita, la Dea Bianca
che apre le braccia, ci accoglie per un istante e va via.
Le dico addio, arrivederci, spero di rivederti un giorno.
Addio, schiuma dell’aria, isola che dura un istante.

(La diosa blanca)

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Qualche giorno fa, dicevo di concordare con il poeta messicano José Emilio Pacheco sulla sua concezione di poesia. Concordo anche sul suo amore per la neve: io, che pure sono di quelli “cresciuti con lei” e che tengo in caldaia la mia bella pala rossa consunta dall’uso ripetuto, inverno dopo inverno, amo la neve. Lo so, è un impiccio quando impesta le strade e gli spazzaneve ti lasciano un ammasso alto mezzo metro sull’uscio di casa, è brutta quando dopo giorni a contatto con lo smog si trasforma in cumuli nerastri, ma è davvero la Dea Bianca: non solo è bellissimo vederla cadere, si torna bambini, si gode dell’atmosfera che il manto bianco lascia, si prova allegria nel vedere i pupazzi nei giardini e i bambini scendere con gli slittini; ma anche è un toccasana per le colture, è acqua che viene a dare vita al frumento nuovo. Ed è un’effimera bellezza che non a caso grandi artisti hanno ritratto nei loro dipinti, da Bruegel a Hokusai. È una manifestazione della poesia sotto altra forma.

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Hokusai

KATSUSHIKA HOKUSAI, “IL MONTE FUJI IN UNA TORMENTA DI NEVE”

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LA FRASE DEL GIORNO
La neve non vuole dire nulla: / è solo una domanda che lascia cadere milioni di segni /  interrogativi sopra il mondo.
JOSÉ EMILIO PACHECO, Isole alla deriva




José Emilio Pacheco Berny (Città del Messico, 30 giugno 1939 - 26 gennaio 2014), scrittore, poeta, saggista e traduttore messicano. Fu parte integrante della Generazione dei ‘50. La sua poesia concentra l’attenzione sulla storia, sulla ciclicità del tempo, sull’universo dell’infanzia e sulla vita nel mondo moderno.


domenica 22 febbraio 2015

Il tempo è donna

 

LOUIS ARAGON

TI DIRÒ UN GRAN SEGRETO

Ti dirò un gran segreto Tu sei il tempo
Il tempo è donna Ha
Bisogno d’esser corteggiato ha bisogno che ci si segga
Ai suoi piedi il tempo come una veste da sciogliere
Il tempo come una chioma senza fine
Pettinata
Uno specchio che il respiro appanna e spanna
Il tempo sei tu che dormi nell’alba in cui mi sveglio
Sei tu come un coltello che trafigga la mia gola
Oh non posso dire questo tormento del tempo che non passa
Questo tormento del tempo imprigionato come il sangue nelle vene azzurre
Ben peggiore del desiderio interminabilmente insoddisfatto
Di questa sete dell’occhio quando cammini nella stanza
E io capisco che non si deve rompere l’incantesimo
Ben peggiore del sentirti estranea
Sfuggente
La testa altrove e il cuore già in un altro secolo
Mio Dio come pesano le parole È proprio questo il punto
Amore mio oltre il piacere amore mio fuori di portata oggi fuori tiro
Tu che batti alla mia tempia orologio
Se tu non respiri sono io che soffoco
E sulla mia carne esita e si posa il tuo passo

Ti dirò un gran segreto Ogni parola
Sulle mie labbra è una mendica che chiude
Una miseria per le tue mani una cosa che s’oscura sotto il tuo sguardo
Ed è per questo io dico così spesso che ti amo
Colpa di un cristallo troppo chiaro di una frase che porteresti al collo
Non t’offendere per le mie parole banali. È
L’acqua pura che fa questo brusio spiacevole sul fuoco

Ti dirò un gran segreto Io non so
Parlare del tempo che ti somiglia
Non so parlare di te fingo soltanto
Come quelli che da molto tempo sul marciapiede d’una stazione
Agitano la mano dopo che i treni sono partiti
E il polso cede sotto il peso nuovo delle lacrime

Ti dirò un gran segreto Ho paura di te
Paura di quel che t’accompagna la sera verso le finestre
Dei gesti che fai delle parole che non si dicono
Ho paura del tempo rapido e lento ho paura di te
Ti dirò un gran segreto Chiudi le porte
È più facile morire che amare
Per questo cerco di vivere
Amor mio

(Je vais te dire un grand secret, da Les yeux d’Elsa, 1942)

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Elsa Triolet è la musa, l’amante, l’amica, la compagna del poeta francese Louis Aragon: è lei che gli dà ogni potere, ha la valenza di una dea surrealista che trasfigura la forza dell’amore: “Dammi le tue mani ché il mio cuore vi si conformi / Taccia il mondo per un attimo almeno / Dammi le tue mani ché la mia anima vi s’addormenti / Ché la mia anima vi s’addormenti per l’eternità”. La donna amata è vita, è tempo ed è dunque chiaro che la sua assenza terrorizzi il poeta, che arriva ad affermare, con quella frase bellissima, “è più facile morire che amare”.

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Van Dongen

KEES VAN DONGEN, “DE VROUW OP DE CANAPÉ”

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LA FRASE DEL GIORNO
Non esistono amori felici / Ma è il nostro amore di noi due.
LOUIS ARAGON




Louis Aragon (Parigi, 3 ottobre 1897 – 24 dicembre 1982), poeta e scrittore francese, membro dell'Académie Goncourt. Già aderente all'avanguardia dadaista, fondò poi il movimento surrealista insieme a André Breton. Nella sua opera la prosa rivaleggia con la poesia su forma metrica fissa.



sabato 21 febbraio 2015

Ciò che osa la cicogna

 

EUGENIO MONTALE

SOTTO LA PIOGGIA

Un murmure; e la tua casa s’appanna
come nella bruma del ricordo –
e lacrima la palma ora che sordo
preme il disfacimento che ritiene
nell’afa delle serre anche le nude
speranze ed il pensiero che rimorde.

‘Por amor de la fiebre’… mi conduce
un vortice con te. Raggia vermiglia
una tenda, una finestra si rinchiude.
Sulla rampa materna ora cammina,
guscio d’uovo che va tra la fanghiglia,
poca vita tra sbatter d'ombra e luce.

Strideva Adiós muchachos, compañeros
de mi vida, il tuo disco dalla corte:
e m’è cara la maschera se ancora
di là dal mulinello della sorte
mi rimane il sobbalzo che riporta
al tuo sentiero.

Seguo i lucidi strosci e in fondo, a nembi,
il fumo strascicato d’una nave.
Si punteggia uno squarcio…
                                      Per te intendo
ciò che osa la cicogna quando alzato
il volo dalla cuspide nebbiosa
rémiga verso la Città del Capo.

(da Le occasioni, 1939)

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Per molte poesie delle Occasioni di Eugenio Montale (1896-1981) si è parlato di fenomenologia acustica del ricordo: è il suono che viene da un tempo ormai lontano e perduto a riportare in vita la memoria della donna amata: in questo caso l’avvicinamento alla casa dove un tempo abitava l’amica peruviana di origine genovese Paola Nicoli si popola di rumori e segni – dallo scrosciare della pioggia al rilucere improvviso di un raggio di sole che fora il cielo incupito e si disegna sui tendaggi, dallo sbattere di una finestra per un’improvvisa ventata alla voce di un tango che viene dal passato. È il “sobbalzo” della memoria, un senso proustiano del tempo perduto che  assume rilevanza, è un punto dal quale è possibile ripartire, l’istante in cui ci si infonde coraggio e, rinfrancati, si potrebbe davvero cambiare vita, decidere di agire, l’attimo in cui slanciarsi come quando la cicogna prende il volo per la lunga migrazione verso il Sudafrica. Uno dei rari “gridi di trionfo” di Montale, come rilevò Gianfranco Contini.

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Krymov

NIKOLAI KRYMOV, “DOPO LA PIOGGIA DI PRIMAVERA”

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LA FRASE DEL GIORNO
Occorrono troppe vite per farne una.
EUGENIO MONTALE, Le occasioni




Eugenio Montale (Genova, 12 ottobre 1896 – Milano, 12 settembre 1981), poeta e scrittore italiano, Gli fu conferito il Premio Nobel per la Letteratura nel 1975 “per la sua poetica distinta che, con grande sensibilità artistica, ha interpretato i valori umani sotto il simbolo di una visione della vita priva di illusioni”, ovvero la “teologia negativa” in cui il "male di vivere"  si esprime attraverso la corrosione dell'Io lirico tradizionale e del suo linguaggio.

venerdì 20 febbraio 2015

Nel suo vestito da ballo, l’aurora

 

WINÉTT DE ROKHA

TRAIETTORIA QUOTIDIANA

L’alba mi offriva in grappolo
le sue coppe di perle livide;
infilate nella collana del vento
rinfrescarono i miei seni nudi.

Si era paralizzato il silenzio
intorno alla città caotica;
sentivo fremere le radici addormentate
degli alberi, nel mio cuore.

Nel suo vestito da ballo, l’aurora
illuminava ancora pallide stelle;
una folata inattesa cambiò il corso
delle idee al boschetto pensoso.

Il sole!
Il paesaggio ne fu trasfigurato,
e sorse un balbettio
di belati, di trilli e di bramiti…

(da Cantoral, 1936)

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Semplicemente un’alba. Ma la poesia di Winétt de Rokha, autrice cilena, riesce a trasfigurare le cose con una mistica che non è propriamente religiosa, ma umana: il suo modo di vedere, in questa cronaca di un’aurora che a poco a poco si trasforma e riaccende il mondo, arriva a riconoscere in essa terre inesplorate, ci riporta sensazioni ataviche forse impresse da millenni nel nostro DNA.

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Frampton

JENNIFER FRAMPTON, “MOUNTAIN SUNRISE”

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LA FRASE DEL GIORNO
Noi pure sorgiamo, abbaglianti e tremendi come il sole, / e fondiamo la nostra aurora, o anima mia, nella calma frescura dell'alba..
WALT WHITMAN, Foglie d’erba




Winétt de Rokha, pseudonimo di Luisa Anabalón Sanderson (Santiago, 7 luglio 1894 – 7 agosto 1951), poetessa cilena, moglie del poeta Pablo de Rokha. Molte delle sue poesie in Formas del Sueño, Cantoral e Oniromancia potrebbero essere definite surrealiste e sono state infatti celebrate per il potere onirico delle loro immagini. 


giovedì 19 febbraio 2015

Voglio rendere grazie

 

JORGE LUIS BORGES

ALTRA POESIA DEI DONI

Voglio rendere grazie al divino
Labirinto di effetti e di cause
Per la diversità delle creature
Che compongono questo singolare universo,
Per la ragione, che non cesserà di sognare
Una mappa del labirinto,
Per il viso di Elena e la perseveranza di Ulisse,
Per l'amore, che mi permette di vedere gli altri
Come li vede la divinità,
Per il duro diamante e l'acqua libera,
Per l'algebra, palazzo di esatti cristalli,
Per le mistiche monete di Angelus Silesius,
Per Schopenhauer
Che forse decifrò l’universo,
Per lo splendore del fuoco
Che nessun umano può guardare senza un'antica meraviglia,
Per il mogano, il cedro e il sandalo,
Per il pane e il sale,
Per il mistero della rosa
Che dona il suo colore e non lo vede,
Per certe vigilie e giornate del 1955,
Per i rudi mandriani che nella pianura
Incitano le bestie e l'alba,
Per il mattino a Montevideo,
Per l'arte dell'amicizia,
Per l'ultimo giorno di Socrate,
Per le parole dette in un crepuscolo
Dall'una all'altra croce,
Per il sogno dell'Islam che abbracciò
Mille e una notte,
Per l'altro sogno dell'inferno,
Della torre di fuoco che purifica
E delle sfere gloriose,
Per Swedenborg
Che conversava con gli angeli nelle vie di Londra,
Per i fiumi segreti e immemorabili
Che confluiscono in me,
Per l'idioma che, secoli addietro, parlai in Northumbria,
Per la spada e l'arpa dei sassoni,
Per il mare, che è un deserto splendente
E un simbolo di cose che ignoriamo,
Per la musica verbale d'Inghilterra,
Per la musica verbale di Germania,
Per l'oro, che rifulge nei versi,
Per l'epico inverno,
Per il nome d'un libro che non ho letto: Gesta dei per francos,
Per Verlaine, innocente come gli uccelli,
Per il prisma di cristallo e il peso di bronzo,
Per le strisce della tigre,
Per le alte torri di San Francisco e dell'isola di Manhattan,
Per il mattino in Texas,
Per il sivigliano che scrisse l'Epistola morale
E il cui nome, com'egli avrebbe preferito, ignoriamo,
Per Seneca e Lucano, di Cordova,
I quali prima che lo spagnolo fosse scrissero
Tutta la letteratura spagnola,
Per il geometrico e bizzarro giuoco degli scacchi,
Per la tartaruga di Zenone e la mappa di Royce,
Per l'odore medicinale degli eucalipti,
Per il linguaggio, che può simulare la sapienza,
Per l'oblio, che annienta o modifica il passato,
Per l'abitudine
Che ci ripete e ci conferma come uno specchio,
Per il mattino, che ci dà l'illusione di un principio,
Per la notte, la sua tenebra e la sua astronomia,
Per il coraggio e la felicità degli altri,
Per la patria, sentita nei gelsomini
O in una vecchia spada,
Per Whitman e Francesco d'Assisi, che già scrissero la poesia,
Per il fatto che la poesia è inesauribile
E si confonde con la totalità degli esseri
E non giungerà mai all'ultimo verso
E muta secondo gli uomini,
Per Frances Haslam, che chiese perdono ai suoi figli
Perché era così lenta a morire,
Per i minuti che precedono il sonno,
Per il sonno e la morte,
Questi due tesori segreti,
Per gl'intimi doni che non enumero,
Per la musica, misteriosa forma del tempo.

(Otro poema de los dones, da L’altro, lo stesso, 1964 – Traduzione di Tommaso Scarano)

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“È curiosa la sorte dello scrittore. Agli inizi è barocco, vanitosamente barocco, ma dopo molti anni può raggiungere, con il favore degli astri, non la semplicità, che non è niente, ma la modesta e segreta complessità” scrisse Jorge Luis Borges (1899-1986) nel prologo di L’altro, lo stesso. Questa complessità è evidente nella poesia di ringraziamento per le cose più belle della natura e della cultura – ci vorrebbero pagine per spiegare i riferimenti di Borges riga per riga, ma qua e là si riconoscono, oltre ai suoi classici stilemi del labirinto, dello specchio, della spada e degli scacchi, la Divina Commedia, le Mille e una Notte, Socrate e Schopenhauer, il paradosso formulato da Zenone di Elea su Achille e la tartaruga e quello della mappa geografica 1:1 di Josiah Royce. E naturalmente il Cantico delle creature, al quale questa poesia assomiglia tremendamente – una sua rivisitazione moderna – così come è una rilettura anche di Canto il corpo elettrico di Walt Whitman.

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Palermo

BORGES A PALERMO NEL 1964 – FOTOGRAFIA © FERDINANDO SCIANNA

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LA FRASE DEL GIORNO
In questo mondo quotidiano, / che somiglia tanto al libro delle Mille e Una Notte, / non c'è un solo gesto che non corra il rischio / di essere un'operazione di magia, / non c'è un solo fatto che non possa essere il primo / di una serie infinita.
JORGE LUIS BORGES, La cifra




Jorge Francisco Isidoro Luis Borges Acevedo (Buenos Aires, 24 agosto 1899 – Ginevra, 14 giugno 1986), scrittore, poeta, saggista, traduttore e accademico argentino. Creatore di un genere oggi designato “borgesiano”, a definire una concezione della vita come storia, come finzione, come opera contraffatta spacciata per veritiera, come fantasia o come reinvenzione della realtà.


mercoledì 18 febbraio 2015

Cercare una cosa

 

ROBERTO JUARROZ

DODICESIMA POESIA VERTICALE, 15

Cercare una cosa
è sempre incontrarne un’altra.
Così, per trovare qualcosa,
bisogna cercare quello che non è.

Cercare l’uccello per incontrare la rosa,
cercare l’amore per trovare l’esilio,
cercare il nulla per scoprire un uomo,
tornare indietro per andare avanti.

La chiave del cammino,
più che nelle sue biforcazioni,
il suo incerto inizio
o il suo dubbio finale,
è nel caustico umore
del suo doppio senso.
Si arriva sempre,
ma da un’altra parte.

Tutto passa.
Però al contrario.

(Buscar una cosa, da Duodécima Poesía vertical, 1991)

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“Talvolta cerchiamo una cosa e ne troviamo un’altra” scrive Cervantes nel Don Chisciotte. La serendipità è la capacità o fortuna di fare per caso inattese e felici scoperte, mentre si sta cercando altro. Aver raggiunto l’America invece delle Indie è l’episodio clamoroso di Cristoforo Colombo. Ma ci sono molti esempi anche in campo scientifico, dal Teflon al Post-it, dal Viagra al cellophane: tutte queste cose sono state scoperte o inventate cercando altro, precisamente un elemento per refrigeranti, una colla ultrapotente, un farmaco per curare l’angina pectoris e un rivestimento per rendere impermeabili le tovaglie. Il poeta argentino Roberto Juarroz tesse una sorta di apologia del caso, che per vie traverse ci porta sempre sulla medesima strada del vivere.

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Toward the horizon

ROB GONSALVES, “TOWARD THE HORIZON”

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LA FRASE DEL GIORNO
La serendipità è cercare un ago in un pagliaio e trovarci la figlia del contadino.
JULIUS COMROE JR




Roberto Juarroz (Coronel Dorrego, 5 ottobre 1925 – Buenos Aires, 31 marzo 1995), poeta, saggista e bibliotecario argentino. La sua opera, salvo le prime Sei poesie scelte del 1960 è riunita con il titolo unico di Poesia verticale. Varia solo il numero d'ordine, da raccolta a raccolta, fino alla quattordicesima, uscita postuma nel 1997.


martedì 17 febbraio 2015

Trombette di carnevale

 

ANTONIA POZZI

NOTTE DI FESTA

Sgrana gli occhi, soldato alpino,
stringi più forte la tua ragazza:
sono venute le signorine
a ballare nella tua osteria.

Che belle rose di carta gialla
alle pareti di legno d'abete.
Chi suona
con le trombette di carnevale?
Vino.
E frittelle unte.
Una stella filante verdolina
lega i tuoi chiodi
alle mie scarpe
d'argento.
Chi strilla
con le trombette di carnevale?

Oggi sotto al Cristallo
è caduta la valanga.

Non bestemmiare, soldato alpino:
batti gli occhi nell'aperta notte.

Le signorine ballano ancora.
Come sono strane
queste mie spalle nude:
chi cercava
le mascherette di cartapesta?
io canto
un sonnolento ritornello.
E già sui vetri illividisce e intesse
gelate fioriture l'alba:
segna
palpebre viola,
pallide labbra nella stanza spenta.
In alto
tu fra i mortali blocchi
erri solo:
scavano ferree le tue mani rosse.

Vuota sotto una croda
nella prima
aurora
la slitta attende
coi suoi rami verdi
in croce.

Misurina, 6 gennaio 1936

(da Parole, 1939)

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Antonia Pozzi tratteggia un bozzetto un po’ ingenuo che ci dà però l’atmosfera precisa di una festa di carnevale negli anni ‘30. C’è il gusto retrò dei fiori di carta, dell’orchestra che suona in un locale di Misurina. E, come nella funzione stessa del carnevale, che sottintende un ciclo di annientamento e di rinascita, si mescolano improvvisamente festa e tragedia: l’alpino che balla è chiamato sulle vette del Monte Cristallo a soccorrere le vittime di una valanga mentre già si accende un’alba viola di quaresima.

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Tooker

JOHN TOOKER, “UN BALLO IN MASCHERA”

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LA FRASE DEL GIORNO
È carnevale: e molta brava gente prova gusto a mascherarsi, nelle fogge più strane: invece, io provo una voluttà indicibile nel buttar via ogni maschera d'ipocrisia sociale: e spalancare il cuore, come uno sportello.
GANDOLIN, Gli invisibili




Antonia Pozzi (Milano, 13 febbraio 1912 – 3 dicembre 1938), poetessa italiana. Laureatasi in Filologia con una tesi su Flaubert, si tolse la vita dopo una contrastata storia d’amore. Il suo diario poetico Parole fu pubblicato postumo, nel 1939: composto a partire dai diciassette anni, riflette un'amara e inquieta sensibilità in cui si avverte l'influsso della lirica di Rilke.


lunedì 16 febbraio 2015

Simile alla neve

 

VICENTE QUIRARTE

INCONTRO CON LA NEVE

Ha nevicato tutta notte e albeggia
la terra immacolata.
Chi potrebbe dire che sotto il manto
prepara il suo verde la primavera.
Se la purezza esiste,
quanto è simile alla neve:
foglio bianco steso sul mondo
per dimostrare che niente rimane.

(Encuentro con la nieve, da El ángel es vampiro, 1991)

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La neve cade a coprire ogni cosa con il suo bianco splendore, stende la sua ovatta sui campi, sulle case, cancella i rumori, sospende per qualche tempo la percezione consueta del reale. E sembra che quel candore si propaghi per osmosi anche alle nostre anime – almeno finché non ci rendiamo conto che dobbiamo uscire, che la macchina è nel garage, che il viale di uscita è ingombro, che le strade saranno un delirio e che parcheggiare sarà un’impresa eccezionale. Però ha ragione il poeta messicano Victor Quirarte: la neve è l’emblema stesso della purezza e contemporaneamente dell’effimero, basterà la pioggia, basterà qualche giorno di sole a sciogliere tutto quel bianco.

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Neve

FOTOGRAFIA © DANIELE RIVA

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LA FRASE DEL GIORNO
Si dice che quando cade la neve l’umanità ha l’anima bianca, le città sono silenziose e le strade semideserte. Sarebbe bene che nevicasse tutto l’anno.
ROMANO BATTAGLIA, L’uomo che vendeva il cielo




Vicente Quirarte Castañeda (Città del Messico, 19 luglio 1954), poeta, saggista e scrittore messicano, autore di opere in vari generi letterari, come drammaturgia, poesia e letteratura fantastica. Presso l’Università Nazionale Autonoma del Messico ha lavorato come professore, ricercatore, coordinatore di workshop e, dal 28 settembre 2017, è membro del Consiglio Direttivo. 



domenica 15 febbraio 2015

La simmetria delle pesche

 

OSKAR PASTIOR

NOTTURNO

Stranamente il vino blu
si è fatto notte
nella pozione della civetta.
Notte della sapienza isoscele,
cielo dell'intendere dalla rotondità di pesca.
Splendidi sono cresciuti nello sguardo
della civetta i favi levigati
della caraffa squillante,
i favi delle formule ebbre,
le celle dei sentimenti dalle ali svolazzanti.

Nottetempo la sobrietà
si è fatta ebbra.

Squillanti i baci
sono diventati civette
nel vino blu.
Strani i tuoi seni
guardano con pupille d'ambra
dalla caraffa levigata.
Fidente ora mi fa cenno la simmetria delle pesche,
lungo è il fruscio nella selva di croci alle finestre,
calda bevo la sabbia stellare
dalle piume azzurre
dei tuoi capelli.

(da Poesia n. 293, Maggio 2014, Traduzione di Gio Batta Bucciol)

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Oskar Pastior, poeta e traduttore tedesco di natali romeni, era membro dell’Oulipo, l’Officina di Letteratura Potenziale che usa vincoli e restrizioni per incanalare l’ispirazione e guidare la creazione di un’opera: plasma quindi la lingua come uno scultore, o come un pittore materico – dalle associazioni fonetiche e dai suoi giochi di parole esce una poesia d’amore che è una specie di dipinto surrealista con bagliori qua e là chagalliani e picassiani.

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Chagall

LITOGRAFIA DI MARC CHAGALL

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LA FRASE DEL GIORNO
Ora notturna, c’è poesia nel tuo silenzio e malinconia nella tua grazia solitaria; tu m’intenerisci il cuore e lo consoli; tu ci parli di tutto quello che non esiste più e di tutto quello che deve morire, ma ci dici: «Coraggio!» e ci prometti il riposo.
HENRI-FRÉDÉRIC AMIEL, Grani di miglio




Oskar Walter Pastior (Sibiu, Romania, 20 ottobre 1927 - Francoforte sul Meno, 4 ottobre 2006), poeta e traduttore rumeno-tedesco. Fu influenzato dalla poesia sonora del dadaismo e dagli autori del gruppo OULIPO. La sua poesia in lingua tedesca è caratterizzata da giochi linguistici e arte della parola ed è vicina alla poesia nonsense.



sabato 14 febbraio 2015

Eterno, anima mia

 

CATULLO

CARME 109

Eterno, anima mia, senza ombre
mi prometti questo nostro amore.
Mio dio, fa' che prometta il vero
e lo dica sinceramente, col cuore.
Potesse durare tutta la vita
questo eterno giuramento d'amore.

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Iucundum, mea vita, mihi proponis amorem
hunc nostrum inter nos perpetuumque fore.
Di magni, facite ut vere promittere possit,
atque id sincere dicat et ex animo,
ut liceat nobis tota perducere vita
aeternum hoc sanctae foedus amicitiae.

(da Carmina – Traduzione di Mario Ramous)

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Una poesia classica per San Valentino, un augurio a tutti gli innamorati, il giuramento d’amore eterno messo in versi dal poeta latino Catullo, il desiderio che quella favilla che ha incendiato due cuori si propaghi e diventi una fiamma, se non perenne, perlomeno non così effimera come troppe volte succede.

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LEONID AFREMOV, “KISS AFTER THE RAIN”

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LA FRASE DEL GIORNO
L’amore nasce dal desiderio improvviso di rendere eterno il passeggero.
RAMÓN GÓMEZ DE LA SERNA, Mille e una greguerías




Gaio Valerio Catullo (Verona, 84 a.C. – Roma, 54 a.C.), poeta romano. È noto per l'intensità delle passioni amorose espresse, per la prima volta nella letteratura latina, nel suo Catulli Veronensis Liber, in cui l'amore ha una parte preponderante, sia nei componimenti più leggeri che negli epilli ispirati alla poesia di Callimaco e degli Alessandrini in generale.

venerdì 13 febbraio 2015

Ogni poesia amorosa

 

JUAN GUSTAVO COBO BORDA

RUSSANDO AL SOLE, COME UNA FOCA ALLE GALÁPAGOS

È così trascurabile ogni poesia amorosa,
così pleonastica,
che non posso evitare di scriverla.

Tu sovverti la mia flaccida routine
e anche così mi smarrisco in ogni linea.

Tutto m’incita al sopore dei sensi.

Unica certezza
in questi tempi di obbrobrio e di rumore,
la tua lucida energia.

Specie in via di estinzione,
sulla sabbia del sogno gioco con te.

(da Roncando al sol como una foca en las Galápagos, 1982 – Traduzione di Martha Canfield)

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La poesia è un passo di una indagine su di sé, sul senso della vita e sull’amore: altro che “trascurabile e pleonastica” come la definisce antiteticamente Juan Gustavo Cobo Borda. Lo sa bene anche lui che è un sofisticato e preciso metodo di analisi, che ogni verso, ogni foglio scritto è un minuscolo petalo del fiore della conoscenza. Per questo non si può evitare di scriverla…

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Love

FOTOGRAFIA © LINDSAY/FLICKR

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LA FRASE DEL GIORNO
Le uniche notizie che valgono la pena le trovi nelle poesie.
JUAN GUSTAVO COBO BORDA, Todos los poetas son santos e irán a cielo




Juan Gustavo Cobo Borda (Bogotá, 10 ottobre 1948), poeta, giornalista e diplomatico colombiano. Ispirata da Borges e Kavafis, la sua poesia è stata la linea trasversale dei suoi scritti. Ricoprì anche incarichi diplomatici che lo portarono ad essere ambasciatore in Argentina, Spagna e Grecia.


giovedì 12 febbraio 2015

Il tuo corpo e il mio

 

ALDO PELLEGRINI

LA CERTEZZA DI ESISTERE


l’ho visto
ho visto tutto quello che non esiste distruggere quello che esiste
l’attesa devasta la terra come un nuovo diluvio
il giorno sanguina
occhi azzurri raccolgono il vento per guardare
e onde impazzite raggiungono la spiaggia del paese silenzioso
dove uomini senza memoria
si affannano per perderlo completamente

In una via dove il silenzio è denso scorre lo sbalordimento
tutto retrocede fino al limite che il desiderio non può varcare

Però io e te esistiamo
il tuo corpo e il mio si vengono incontro e si avvicinano
sebbene non si tocchino mai e un immenso vuoto
li separi
io e te esistiamo.

(da Distribución del silencio, 1966)

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Tra Surrealismo e avanguardia, il poeta argentino Aldo Pellegrini (1903-1973) indaga su cosa sia in grado di trasfigurare la realtà, di smentire il fatto che “il mondo sia una graziosa menzogna”. L’amore è una risposta, o forse addirittura “la” risposta, più ancora che la luce della parola. Pellegrini potrebbe affermare, parafrasando il motto cartesiano, “Amo, ergo sum”.

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RAFAL OLBINSKI, “PELLÉAS ET MÉLISANDE”

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LA FRASE DEL GIORNO
Cercare l’amore è cercare se stessi.
ALDO PELLEGRINI




Aldo Pellegrini (Rosario, 20 dicembre 1903 – Buenos Aires, 30 marzo 1973), poeta, drammaturgo, saggista e critico d'arte argentino. Due anni dopo la pubblicazione del Primo Manifesto surrealista di André Breton nel 1924, fondò il primo gruppo surrealista sudamericano in Argentina, che portò alla pubblicazione di due numeri della rivista That nel 1928.



mercoledì 11 febbraio 2015

Oscuro amore

 

LEONARDO SINISGALLI

MI APPARTIENI OSCURO AMORE

Mi appartieni oscuro amore.
Non c'è stimolo più forte
Di questa sazietà. Né la luce
Promessa dall'albero celeste
Può fingerci altra calma
Se a noi intorno è già sera.
Tu covi nuova fioritura
E il cielo è sospetto
Di quest'ansia che ti cresce in petto.

(da Vidi le Muse, Mondadori, 1943)

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Gran parte della poesia di Leonardo Sinisgalli gira attorno alla terra lontana, abbandonata in giovane età per il collegio dei salesiani a Caserta, e alla madre, custode del focolare e della vigna vecchia di Montemurro. Quello è l’oscuro amore di cui parla il poeta, la voce delle radici che cova nel petto, quell’atavico senso di appartenenza a una terra certo difficile ma profondamente, intimamente propria.

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Hurrying Shadows at Eventide

IMMAGINE © GALLERYHIP

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LA FRASE DEL GIORNO
Nel cavo / Delle ossa la terra preme / Per mettere fiore.
LEONARDO SINISGALLI, Vidi le Muse




Leonardo Sinisgalli (Montemurro, 9 marzo 1908 – Roma, 31 gennaio 1981), poeta,  saggista e critico d'arte italiano. Noto come Il poeta ingegnere per il fatto che lavorò per Olivetti e Pirelli e per aver fatto convivere nelle sue opere cultura umanistica e cultura scientifica. Fondò e diresse la rivista “Civiltà delle macchine”.


martedì 10 febbraio 2015

La poesia che cerco

 

JOSÉ EMILIO PACHECO

A CHI POSSA INTERESSARE

Che altri scrivano
il grande poema
i libri unitari
le opere
rotonde che siano specchio
di un’armonia

A me interessa solo
testimoniare
il momento che passa
le parole
che detta nel suo fluire
la fuga del tempo

La poesia che cerco
è come un diario
senza progetto e senza misura.

(A quien pueda interesar, da Tarde o temprano, 2002)

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Devo dire che la mia idea di poesia è molto simile a questa espressa dal poeta messicano José Emilio Pacheco: non amo le costruzioni artefatte che cercano di intrappolare la bellezza, di incanalarla in progetti poetici o ancora peggio di piegarla all’ideale politico, alla prostituzione del pensiero: la poesia deve essere la testimonianza del poeta, deve cogliere il momento nell’attimo esatto in cui si manifesta.

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DIPINTO DI RAFAL OLBINSKI

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LA FRASE DEL GIORNO
La poesia deve essere essenzialmente un'attività pura, lontana da ogni convenienza materiale: ragione per cui la poesia didascalica, che si propone uno scopo pratico, è un genere deteriore, se pur si può considerare vera poesia.
DINO BUZZATI, In quel preciso momento




José Emilio Pacheco Berny (Città del Messico, 30 giugno 1939 - 26 gennaio 2014), scrittore, poeta, saggista e traduttore messicano. Fu parte integrante della Generazione dei ‘50. La sua poesia concentra l’attenzione sulla storia, sulla ciclicità del tempo, sull’universo dell’infanzia e sulla vita nel mondo moderno.


lunedì 9 febbraio 2015

Un bel colore che vive

 

DIEGO VALERI

MARE-COLORE

Mare fanciullo insaziato di giuoco,
vecchio mare insaziato di pianto,
tu che sei lampo e fango
e cielo e sangue e fuoco,
oggi hai lasciato alle lente rive
orgoglio e forza, gaiezza e dolore:
oggi non sei che colore,
un bel colore che vive.

(da Poesie, 1962)

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Il mare compie continue metamorfosi, sa presentarsi come una tavola liscia oppure come un ribollire schiumoso di  onde, sa essere uno specchio che riflette i raggi del sole o una lastra d’ardesia su cui cadono i raggi della luna, o ancora può infiammarsi dell’arancione di un tramonto o accogliere la nascita dell’alba in un frantumarsi di specchietti dorati. In questa poesia di Diego Valeri sembra mescolarsi con il cielo, diventare puro colore.

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Monet

CLAUDE MONET, “LA MER À POURVILLE”

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LA FRASE DEL GIORNO
A distanza di migliaia di secoli il mare è ancora lì a testimoniare una verità il cui significato spesso ci sfugge. Nessuna conoscenza, nessuna sensazione, nessuna esperienza è superiore a quella del mare.
ROMANO BATTAGLIA, Fra le braccia del vento




Diego Valeri (Piove di Sacco, 25 gennaio 1887 – Roma, 27 novembre 1976), poeta, traduttore e accademico italiano, fu ordinario di Letteratura Francese all’Università di Padova per oltre vent’anni, tranne nel periodo 1943-45 quando riparò in Svizzera come rifugiato politico.


domenica 8 febbraio 2015

Cosa può mai fare la poesia?

 

JUAN GELMAN

IL CANE

La poesia non chiede da mangiare. Mangia
i poveri piatti che
gente senza vergogna né pudore
le serve a notte fonda.
La parola divina non esiste più. Cosa può
mai fare la poesia, se non
accontentarsi di quel che le danno?
Più tardi ululerà laggiù
senza risposta, sarà
un altro cane sperduto
nella città impietosa.

(da Valer la pena, Guanda, 2007 – Traduzione di Laura Bianchini)

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Eh già. La poesia a questo è ridotta nella società odierna. Qualche giorno fa il cantautore Davide Van De Sfroos in un’intervista raccontava di aver “dovuto” esprimere le sue emozioni attraverso le canzoni per avere una platea più vasta. La poesia sembra non avere più posto nella società odierna (si vede! commenterebbe qualcuno), relegata in un minuscolo scaffale delle grandi librerie, costretta ad allagare con le sue acque talora eccelse, talora banali, talora semplicemente artigianali le pagine del web in assenza di un riscontro sui quotidiani; o ancora ristretta in un reading per pochi intimi congiurati del genere società segreta. Il poeta argentino Juan Gelman la ritrae come un cane randagio, reietto e scacciato eppure l’unico essere capace di dialogare con la luna.

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Stubbs

GEORGE STUBBS, “PORTRAIT OF A WHITE DOG”

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LA FRASE DEL GIORNO
[La poesia] Vive in tutto ciò che si innalza / all’aria e dal nascere. / Non chiede nemmeno una visita. / Le basta quel che non è successo.
JUAN GELMAN, Nel rovescio del mondo




Juan Gelman (Buenos Aires, 3 maggio 1930 – Città del Messico, 14 gennaio 2014), poeta, scrittore e giornalista argentino. Vincitore del Premio Cervantes nel 2007, è autore di una poesia esistenziale con accenti lirici e intimisti, divenuta più sociale con l’avvento della dittatura militare (il figlio e la nuora furono sequestrati e uccisi dal regime, la nipote data in adozione) e l’esilio.


sabato 7 febbraio 2015

Il piccolo nemico

 

VITTORIO SERENI

DIMITRIOS

Alla tenda s’accosta
il piccolo nemico
Dimitrios e mi sorprende,
d’uccello tenue strido
sul vetro del meriggio.
Non torce la bocca pura
la grazia che chiede pane,
non si vela di pianto
lo sguardo che fame e paura
stempera nel cielo d’infanzia.

È già lontano,
arguto mulinello
che s’annulla nell’afa,
Dimitrios, su lande avare
appena credibile, appena
vivo sussulto
di me, della mia vita
esitante sul mare.

(da Diario d’Algeria, Einaudi, 1947)

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Chi è più adatto a esprimere l’inutilità della guerra, tutto il suo orrore? Chi l’ha provata naturalmente. Giuseppe Ungaretti, Mario Rigoni Stern, Clemente Rebora, Emilio Lussu hanno lasciato pagine e pagine di testimonianze simili. Anche il poeta Vittorio Sereni, strappato all’insegnamento in un liceo di Modena, trasformato in ufficiale di fanteria, prigioniero in Algeria e nell’allora Marocco Francese per due anni. Si rende conto che il nemico, sotto forma di un bambino che gli chiede pane, non è affatto nemico. Ma è una lezione che l’umanità sembra non imparare mai.

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FOTOGRAFIA © ROYAL AIR FORCE

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LA FRASE DEL GIORNO
Non riusciva a capire come mai aveva avuto bisogno di così tante parole per descrivere la guerra, quando ne bastava solo una: paura.
GABRIEL GARCÍA MÁRQUEZ, Cent’anni di solitudine




Vittorio Sereni (Luino, 27 luglio 1913 – Milano, 10 febbraio 1983), poeta italiano, è il capostipite della variante lombarda del novecentismo poetico, detto “Linea lombarda”. Ufficiale di fanteria, viene fatto prigioniero dopo l’8 settembre 1943. Nel dopoguerra è direttore letterario di Mondadori e cura la prima edizione dei Meridiani.


venerdì 6 febbraio 2015

Spazio che non ha spazio

 

MAGDA MASSACESE

DOMICILIO LEGALE

Dove la mia pelle si unisce all'anima
dove i miei sogni la notte si coricano
dove i miei occhi si ormeggiano al cielo
lì, in questo spazio che non ha spazio,
proprio lì io dimoro quasi sempre.

(Domicilio legal, da Domicilio legale, 1991)

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Il domicilio legale è il luogo in cui la legge di certi paesi fissa la residenza per l’esercizio dei diritti o il compimento dei propri obblighi, anche se non si è di fatto presenti in quel posto. La poetessa argentina Magda Massacese si serve di questa efficace analogia per significare che tutti noi abbiamo questo domicilio speciale, che non è la casa dove viviamo – è qualcosa che va al di là del Codice Civile e della burocrazia delle anagrafi: è la sede del cuore, dell’anima, è il luogo dentro di noi che ci fa sentire a nostro agio, è il sogno, è il desiderio, è l’immaginazione.

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Giarrano

VINCENT GIARRANO, “SLEEPING IN”

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LA FRASE DEL GIORNO
Vi è felicità più grande che scordare gli affanni, / quando la coscienza si annebbia nella fatica / di viaggiare e si torna alla nostra casa / stremati per riposare in quel letto sospirato?
CATULLO, Carmi




Magda Massacese (Esquel, 22 aprile 1945), poetessa, scrittrice e giornalista argentina. Tra le altre attività, si è dedicata anche al teatro in cui ha partecipato come attrice e assistente alla produzione. Le sue opere sono state pubblicate dalla Direzione della Cultura della Provincia di Chubut in un’edizione congiunta e in un opuscolo di poesie individuale intitolato Approssimazioni.



giovedì 5 febbraio 2015

Una strana cosa

 

TU FU

LA BREZZA DEI BOSCHETTI DI BAMBÙ

La brezza dei boschetti di bambù
penetra fresca nella stanza. Chiari
raggi di luna nel cortile danzano.
Rade stelle scintillano; le lucciole
si spostano nel buio, e presso il fiume
s’alza il richiamo degli uccelli acquatici.
E meditando su una strana cosa:
che tutto il mondo si affidi alla guerra,
non alla pace - in dolorosa veglia
io trascorro la notte.

(da La voce dell’acqua, C.R.T., 2002 – Traduzione di Margherita Guidacci)

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Una scena idilliaca quella che canta il poeta cinese Tu Fu: l’acqua che scorre, i riflessi argentei della luna, il vento leggero che accarezza le foglie dei bambù. E la meditazione che viene spontanea al poeta, costretto a una vita vagabonda dalla sanguinosa ribellione di An Lushan del 755, è un’accorata domanda: perché gli uomini devono rovinare tutto questo con la guerra? Perché devono devastare il mondo e la sua pace?

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YUAN BO, “BAMBOO POEM”

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LA FRASE DEL GIORNO
Anche i grammatici hanno intuito la natura della guerra: alcuni sostengono che essa si chiama «bellum» per antitesi, perché non ha niente di buono né di bello; la guerra è «bellum» nello stesso senso in cui le Furie sono le «Eumènidi». Altri preferiscono far derivare la parola «bellum» da «bellua», belva: perché è da belve, non da uomini, impegnarsi in uno sterminio reciproco.
ERASMO DA ROTTERDAM, Adagia




Du Fu o Tu Fu (Gongyi, 12 febbraio 712 – Hunan, 770), poeta cinese, della dinastia Tang. È conosciuto anche come Dù Shàolíng o Dù Gōngbù. Il suo nome di cortesia era Zǐ Měi. I suoi lavori influenzarono fortemente la cultura cinese e giapponese. Della sua produzione poetica, circa 1500 poesie si sono conservate nel corso dei secoli.


mercoledì 4 febbraio 2015

Questo facemmo noi

 

KARL LUBOMIRSKI

NOI

All’aria abbiamo tolto i canti
alla terra le pietre
alla notte l’oscurità
ai boschi gli animali
alle acque i pesci
agli animali la libertà
alla libertà il senso
alle pietre la forma
alle piante il profumo, i colori
ai fiumi l’impeto
al mare la vita
ai monti il silenzio
alla luna la castità
allo spazio la maestà
questo facemmo noi
senza
pentirci.

...

È devastante l’impatto dell’uomo sul pianeta: vi si è stanziato come un aguzzino, senza alcun rispetto, ne ha profanato il tempio naturale, ne ha violentato le acque e reso irrespirabile l’aria, ne ha avvelenato la terra arrivando persino a colonizzare lo spazio. Insomma, ha pensato soltanto a se stesso ma con la stupidità degli egoisti che neppure vedono che il male che compiono si rivolge contro di loro. Così denuncia, con una delle tematiche a lui care, il poeta austriaco Karl Lubomirski.

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FOTOGRAFIA © ANDREAS AUX/PIXABAY

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LA FRASE DEL GIORNO
Stiamo imparando sulla nostra pelle che l'organismo che distrugge il proprio ambiente distrugge se stesso.
GREGORY BATESON, Verso un’ecologia della mente




Karl Lubomirski (Hall in Tirol, 8 settembre 1939), poeta e scrittore austriaco. Vive in Italia dal 1962, ora a Brugherio. Nonostante la sua lunga permanenza in Italia, la sua lingua poetica è rimasta il tedesco; ha tradotto le sue poesie in italiano insieme a madrelingua e ha tradotto poesie e prose dall'italiano al tedesco.