venerdì 26 settembre 2008

L'anafora


I poeti amano l'anafora. Il termine, come in molte figure retoriche, deriva dal greco: αναφορά, dal verbo αναφέρω, significa non solo "risalita", ma anche "richiamo", "ripetizione", ed è in questa seconda accezione che diventa una figura cara ai poeti.

Infatti consiste nella ripetizione di una o più parole all'inizio di una serie di versi, o addirittura di un intero verso o di più versi all'inizio di una strofa. Detto così sembra arido, inutilmente tecnico. Gli esempi sono ancora una volta il migliore maestro:

"Voglio che tu non mi dimentichi
e mi ricordo appena io
di me, ieri!

Voglio che tu non mi dimentichi
e mi ricordo più di me
che tu di te!

Voglio che tu non mi dimentichi
e mi ricordo appena io
di te, domani!"


In questa poesia di Juan Ramón Jiménez (da "Eternità", 94) il primo verso si ripete all'inizio di ogni strofa, il secondo si ripete, sebbene mutato nella strofa di mezzo.

L'attacco del terzo canto dell'Inferno è un altro bell'esempio: il padre Dante efficacemente ci pone davanti alla porta che dà adito agli inferi con un'anafora, la ripetizione delle parole iniziali di ogni verso:

"Per me si va nella città dolente,
per me si va ne l'etterno dolore,
per me si va tra la perduta gente".


Il suo scopo? Un artificio per puntualizzare, per ordinare, per sottolineare un concetto, per indirizzare semplicemente il lettore verso la lettura. "Una lungagnata" secondo un verso tardo di Montale, ma detto con benevolenza... I poeti amano l'anafora.




Immagine © Web Stock Review



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LA FRASE DEL GIORNO
La poesia è una realtà che accusa il lettore e lo pone di fronte alla sua distrazione.
ALFONSO GATTO, Parole a un pubblico immaginario

1 commento:

Anonimo ha detto...

bellissimo complimenti grazie...........