martedì 16 febbraio 2010

Nel groviglio delle stelle filanti

EUGENIO MONTALE

CARNEVALE DI GERTI


Se la ruota s'impiglia nel groviglio
delle stelle filanti ed il cavallo
s'impenna tra la calca, se ti nevica
sui capelli e le mani un lungo brivido
d'iridi trascorrenti o alzano i bimbi
le flebili ocarine che salutano
il tuo viaggio ed i lievi echi si sfaldano
giù dal ponte sul fiume,
se si sfolla la strada e ti conduce
in un mondo soffiato entro una tremula
bolla d'aria e di luce dove il sole
saluta la tua grazia - hai ritrovato
forse la strada che tentò un istante
il piombo fuso a mezzanotte quando
finì l'anno tranquillo senza spari.


Ed ora vuoi sostare dove un filtro
fa spogli i suoni
e ne deriva i sorridenti ed acri
fumi che ti compongono il domani:
ora chiedi il paese dove gli onagri
mordano quadri di zucchero alle tue mani
e i tozzi alberi spuntino germogli
miracolosi al becco dei pavoni.


(Oh il tuo Carnevale sarà più triste
stanotte anche del mio, chiusa fra i doni
tu per gli assenti: carri dalle tinte
di rosolio, fantocci ed archibugi,
palle di gomma, arnesi da cucina
lillipuziani: l'urna li segnava
a ognuno dei lontani amici l'ora
che il Gennaio si schiuse e nel silenzio
si compì il sortilegio. È Carnevale
o il Dicembre s'indugia ancora? Penso
che se tu muovi la lancetta al piccolo
orologio che rechi al polso, tutto
arretrerà dentro un disfatto prisma
babelico di forme e di colori...)


E il Natale verrà e il giorno dell'Anno
che sfolla le caserme e ti riporta
gli amici spersi, e questo Carnevale
pur esso tornerà che ora ci sfugge
tra i muri che si fendono già. Chiedi
tu di fermare il tempo sul paese
che attorno si dilata? Le grandi ali
screziate ti sfiorano, le logge
sospingono all'aperto esili bambole
bionde, vive, le pale dei mulini
rotano fisse sulle pozze garrule.
Chiedi di trattenere le campane
d'argento sopra il borgo e il suono rauco
delle colombe? Chiedi tu i mattini
trepidi delle tue prode lontane?


Come tutto si fa strano e difficile,
come tutto è impossibile, tu dici.
La tua vita è quaggiù dove rimbombano
le ruote dei carriaggi senza posa
e nulla torna se non forse in questi
disguidi del possibile. Ritorna
là fra i morti balocchi ove è negato
pur morire; e col tempo che ti batte
al polso e all'esistenza ti ridona,
tra le mura pesanti che non s'aprono
al gorgo degli umani affaticato,
torna alla via dove con te intristisco,
quella che additò un piombo raggelato
alle mie, alle tue sere:
torna alle primavere che non fioriscono.


(da Le occasioni, 1928)
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“Le occasioni” sono per Eugenio Montale i momenti fatali della vita, quelli in cui, pur nella parvenza della quotidianità, nel suo dimesso esprimersi, si può intravedere per un istante il balenare lontano di una realtà diversa, afferrare un senso che ci riscatti dall’effimero, che ci consenta di cogliere un lembo d’eterno. Uno di questi è raccontato in “Carnevale di Gerti”, poesia del 1928. Gerti è uno dei nomi entrati nella mitologia di Montale, con Dora Markus, Liuba, Clizia, Aretusa.

Gertrude Frankl era un’ebrea austriaca nata a Graz nel 1902: pianista, operatore cinematografico per Fritz Lang, fotografa, donna affascinante. Per tutti “Gerti”, con la “g” dura alla tedesca. Era venuta in Italia nel 1925, sposa di un ingegnere triestino, si stabilì a Trieste e poi a Firenze. Aveva rinunciato al cinema, al piano e alla religione ebraica, ma non alla fotografia e alla vita letteraria: nella città giuliana divenne amica di Italo Svevo, Umberto Saba, Giani Stuparich e di Bobi Bazlen. A Firenze, dove si era trasferita per restare vicino al marito, militare a Lucca, trovò alloggio presso i Marangoni: il critico Matteo e la moglie Drusilla Tanzi, futura compagna di Montale. In quella casa c’era anche Eugenio, ospite in un’ala defilata della villa. Tutti furono affascinati da quella donna che veniva dall’Austria e parlava di Freud e di psicanalisi. La notte di San Silvestro, mentre si passava al 1928, propose un gioco che si faceva in Carinzia: buttare piombo fuso nell’acqua e trarne l’oroscopo per l’avvenire in base alle forme che ne sarebbero uscite. Montale ne fu colpito, lo intrigava quel mondo soffiato come in una bolla di vetro, quel paese di sogno dove gli asini mangiano zucchero dalle mani e i pavoni sfoggiano le loro ruote, quel paese dove ora Gerti si trova in un Carnevale di carri e stelle filanti. Ricorda, la invita il poeta, riavvolgi il tempo, fai arretrare le lancette dell’orologio: ritornerà Capodanno, ritornerà Natale, ritornerà dicembre; ripercorri i giorni trascorsi con me, avventurati nei “disguidi del possibile”…

Quando tornò a Trieste, Gerti si trovò a ospitare un’amica, ebrea viennese come lei. Le scattò alcune foto e una finì nelle mani di Bobi Bazlen e poi in quelle di Montale: l’amica di Gerti si chiamava Dora Markus. Ma questa è un’altra poesia…

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Carolyn Hubbard-Ford, “Carnival mask I”

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LA FRASE DEL GIORNO
L'uomo coltiva la propria infelicità per avere il gusto di combatterla a piccole dosi. Essere sempre infelici, ma non troppo, è condizione sine qua non di piccole e intermittenti felicità.
EUGENIO MONTALE, La farfalla di Dinard




Eugenio Montale (Genova, 12 ottobre 1896 – Milano, 12 settembre 1981), poeta e scrittore italiano, Gli fu conferito il Premio Nobel per la Letteratura nel 1975 “per la sua poetica distinta che, con grande sensibilità artistica, ha interpretato i valori umani sotto il simbolo di una visione della vita priva di illusioni”, ovvero la “teologia negativa” in cui il "male di vivere"  si esprime attraverso la corrosione dell'Io lirico tradizionale e del suo linguaggio.

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