giovedì 28 marzo 2013

Dentro gli inferni

 

ELIO PECORA

GIOVEDÌ SANTO

Divisa in due, avvolta dai lini in un cesto,
la Vergine dell’Afflizione con il cuore d’argento
esce una volta l’anno dalla stanza in penombra.
In chiesa, ricomposta, a fianco del figlio piagato,
dietro gli ori del grano fiorito nel buio,
andrà per le vie fino alle rupi e al Calvario.
Dopo i petardi e le campane a distesa
tornerà con la veste trapunta nell’armadio di noce.

S’abbuiano i colli, fra i castagni e gli ulivi
nel gregge ammassato il pastore cerca l’agnello,
chiama, bestemmia, l’afferra - in quel belato
il pianto estremo che non conosce il morire.
Latrano i cani, poi l’usignuolo per gli orti
cede al suo canto, lo svolge, lo lancia nel vento
lieve che muove i gracili rami del melo
piantato a novembre in un mattino piovoso.

Il pero, il loto, il tiglio, l’ippocastano,
appronta ciascuno a suo modo la fioritura
(foglie si svolgono tenere come ferite
nei verdi che variano dove il gelo riarse),
cava la talpa i suoi ciechi percorsi
scansando il pruno e il velenoso oleandro,
il motore in salita segnala un ritorno
nella casa di pietra con le serrande abbassate.

Eccidi a Gaza, tregua di un giorno in Rhodesia,
sparisce la nave stracolma di schiavi bambini,
un uomo - occhi grigi e giaccone a quadri -
dice che ieri notte ha scannato sua madre,
nella galassia sfocata s’accende una stella,
lesta si slarga nel telegiornale la mappa
dove su Nord e Sud scurano nubi:
i mari intorno sono un sobbalzo di accenti.

Scende il Cristo straziato dentro gli inferni
per riapparire, sabato a mezzanotte,
biancovestito dietro il sipario viola.
…Tante e più volte anche tu sei disceso
nei luoghi stretti presieduti dall’ansia
sgomento ogni volta di non più ritornare
all’orto da coltivare, alle stanze in penombra,
sempre ogni volta tornando senza risposta.

Orfeo salì spossato i cupi viadotti
portando in petto il seme della sconfitta
- ne venne al canto un intoppo, una sprezzatura:
a cui s’accorda la voce breve e delusa
di chi s’aggira in uno spazio inconcluso
e vuole restarvi: come se quello spazio
fosse l’unico luogo dove gli è dato abitare,
dove ognuno compie il suo oscuro percorso.

(da In margine e altro, Oedipus, 2011)

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Giovedì santo, un normale giovedì di marzo che riveste i panni simbolici della memoria per i cristiani: la sera dell’ultima cena, dell’Orto degli Ulivi, dell’arresto di Gesù. Ma è un giovedì santo di oggi, nel quale agli echi dei riti tradizionali che ancora si svolgono nelle chiese e talvolta nei paese si intrecciano le notizie svogliatamente udite dai telegiornali e le proprie vicende personali. Perché, come dice il poeta Elio Pecora tutti noi alla fine siamo il Cristo che muore e poi risorge, siamo l’Orfeo della mitologia greca che scende agli Inferi per amore e fallisce nell’impresa di salvare l’amata Euridice proprio sul più bello: lo siamo nelle sconfitte di ogni giorno, lo siamo nelle vittorie inutili che riportiamo.

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RITI DEL GIOVEDÌ SANTO A ISPICA – FOTOGRAFIA © LEANDRO DISTEFANO

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LA FRASE DEL GIORNO
Da quando l'uomo non crede più all'inferno, ha trasformato la sua vita in qualcosa che somiglia all'inferno. Non può farne a meno
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ENNIO FLAIANO, Taccuino del marziano


Elio Pecora (Sant'Arsenio, 5 aprile 1936), poeta italiano. La sua poesia è caratterizzata da un’ironia spesso malinconica, volta a scrutare fenomeni come fossero un teatro interiore. La più recente e intensa attività poetica è rappresentata da versi vigorosi e altri di smagliante, pensosa leggerezza.



2 commenti:

Vania ha detto...

..la "storia" che insegna.

ciaoo Vania

DR ha detto...

la storia è maestra di vita - lo diceva Cicerone, non uno qualunque